Non era il classico eroe, il console iraniano Abdol-Hossein Sardari. Amante del lusso e delle belle donne, socievole e salottiero, il giovane diplomatico non sembrava destinato un giorno a sfidare la Gestapo ed a fare infuriare Eichmann. Rampollo di una famiglia di scià, quella cagiara, che aveva governato l’Iran per oltre un secolo, Sardari era cresciuto in una notevole agiatezza, laureandosi in legge a Ginevra prima di intraprendere la carriera diplomatica in Francia, sempre seguendo le orme di famiglia.

Eppure, con il suo coraggio e la sua determinazione contribuì a salvare 2.400 ebrei, iraniani e non, mettendo a repentaglio la sua carriera, il suo patrimonio e la sua stessa esistenza. Fece carte false e aguzzò l’ingegno, facendo leva sulle conoscenze personali che la sua carriera di diplomatico gli aveva permesso di accumulare, restando in Francia e dandosi da fare anche quando la sua missione era conclusa e la sua vita in pericolo. Ascoltò quello che gli altri non volevano ascoltare, e vide quello che era possibile vedere, da una posizione privilegiata come la sua: l’orrore ineffabile della Shoah, portata avanti in quegli anni in tutta Europa con una rapidità e una sistematicità fino ad allora inimmaginabili.

In un libro (In the Lion's Shadow: The Iranian Schindler and His Homeland in the Second World War di Fariboz Mokhtari) la sua storia straordinaria, di quelle che non si dimenticano. Per tentare di salvare più vite possibile, Sardari cercò di portare avanti – con lettere e scritti – una teoria che egli sapeva benissimo essere assurda, ma che servì ad aiutare moltissime persone: gli ebrei iraniani non sarebbero stati semiti, ma ariani, a differenza di quelli d’Europa. Non contento, esaurì il deposito di passaporti della sua missione diplomatica, fornendo una nuova identità (e in molti casi una nuova patria) a moltissimi ebrei, iraniani e non, negli anni dell’occupazione tedesca. Documenti che permisero a molti di fuggire dall’Europa e da una morte sicura.

L’eredità di Sardari, onorata dal Simon Wiesenthal Centre di Los Angeles con una cerimonia nel 2004, è un segno importante di pace in un mondo dove lo spettro dello scontro di civiltà sembra farsi ogni giorno più reale. Morì in Inghilterra senza pensione, avendo perso tutte le sue proprietà e dimenticato da tutti, a un anno dalla rivoluzione islamica del 1979. Ma il suo lascito era troppo grande, e in seguito fu riabilitato anche in patria. Nel 2007 fu protagonista di una serie televisiva molto popolare in Iran; un Paese che ha dato grandi prove di solidarietà e tolleranza anche negli anni più cupi della propria storia.

Ma la vicenda di Sardari, per quanto straordinaria, non fu l’unica che vide protagonisti dei musulmani rischiare la vita per salvare gli ebrei dalla Shoah. A Tunisi, grazie all’iniziativa dell’organizzazione GARIWO e del suo animatore, Gabriele Nissim, è stato da poco inaugurato un Giardino dei Giusti. Fra le altre figure di giusti musulmani ricordate in questo luogo anche Khaled Abdul Wahab, ricco nobiluomo musulmano che nella Tunisia degli anni quaranta protesse alcune decine di ebrei nella propria fattoria e rischiò la vita sfidando un ufficiale tedesco per salvare una donna ebrea.

Sono tante le storie come queste, anche se poco conosciute, che varrebbe la pena riscoprire. Frammenti di memoria, ma anche semi di speranza capaci di vincere l’odio e i luoghi comuni più consolidati.

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