«Mi fu chiaro ancora una volta che il passato penetra negli oggetti e li riempie come un’anima»
O. Pamuk

In programma solo nelle serate del 7 e 8 giugno sarà proiettato nelle sale italiane il film documentario girato da Grant Gee e dedicato al Museo dell’Innocenza di Istanbul, uno spazio nato dall’immaginazione del premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk che racchiude una memoria tanto individuale quanto collettiva della metropoli sul Corno d’Oro. La struttura, che nel 2014 ha ricevuto il premio Museo Europeo dell’Anno, ha aperto i battenti nel 2012 prendendo forma dalle pagine dell’omonimo libro dell’autore turco e dalla sua instancabile ricerca letteraria incentrata sulla città e i suoi abitanti. Ideato come un’alchimia fra flusso sensoriale e frammenti emotivi, il museo coniuga un linguaggio espressionista alla magia surreale tipica dei racconti di Jorge Luis Borges. Gli oggetti qui raccolti ripercorrono attraverso la trama del romanzo di Pamuk non solo le vicende di un amore appassionato ma anche la storia recente della città. Un percorso che finisce per creare un doppione intimista della Istanbul reale rimodellato dall’inventiva del grande scrittore ed esternato per mezzo di un caleidoscopio di piccoli oggetti carichi di esperienza privata e immaginario popolare. In una sorta di dimensione atemporale ogni pezzo trova corrispondenza nella narrazione del libro e segue la vertigine collezionista del suo protagonista, Kemal, sebbene in realtà ciò che qui è classificato, incorniciato ed esposto nelle teche sia una coscienza nazionale e condivisa. Nella creazione di Pamuk l’infelice amore di Kemal per la bella Füsun trova il suo sfogo nella collazione ossessiva di pezzi che ne evochino il ricordo; minuziosamente disposti nella vecchia dimora dove “viveva” l’amata, sono infine affidati all’amico scrittore incaricato di ricostruirne la storia. La disposizione stessa della curiosa collezione, assemblaggio di singole unità in composizioni che creano poliedrici insiemi densi di ricordi, ruota intorno ad una realistica illusione che risucchia in un vortice disorientante e al contempo avvolge in un atmosfera familiare. Situato nell’affascinante quartiere di Çukurcuma, oggi oggetto di riqualificazione, il museo si inserisce alla perfezione in un tessuto di vicoli contorti, vecchi caffè, botteghe artigiane e rivenditori di anticaglie. Il progetto lungamente perseguito da Pamuk si coniuga con l’universo delle sue opere in cui luoghi e personaggi, vere e proprie trasposizioni di ricordi e vicende cittadine, assurgono a modelli esemplari di un’epoca accantonata dai travolgenti cambiamenti degli ultimi decenni. Pamuk infatti ritorna più volte nei romanzi sulle atmosfere della Istanbul della sua infanzia e della sua giovinezza, calando le esperienze soggettive in un contesto storico oggettivo rievocato da foto in bianco e nero, locandine di vecchi film e cimeli di ogni tipo. Il museo quindi rappresenta il recupero di una memoria urbana che poggia sulla caratterizzazione topografica di una città i cui cicli di decadimento e metamorfosi lasciano tracce palpabili. Dalle pareti minuziosamente allestite promanano impressioni multisensoriali dal primaverile odore di tiglio sollevato dalla brezza del Bosforo alle immagini degli ambienti domestici, mentre sembra di percepire voci e dialoghi de ‘Il Signor Cevdet’, de ‘Il Libro nero’ o delle esperienze autobiografiche descritte in ‘Istanbul’. Proprio attraverso il suo potere evocativo l’esibizione trascina in un passato rarefatto in cui le prime passeggiate in Chevrolet delle famiglie borghesi radunavano lungo i marciapiedi una folla attratta dalle scintillanti cromature. Le medesime strade e ponti divenivano di notte lo scenario di precipitosi inseguimenti di contrabbandieri e boss dei locali notturni di Beyoğlu; così come i palazzi patrizi di Nişantaşı proteggevano la vita di giovani rampolli che scorreva parallela alle fantasticherie dei lettori di rotocalchi popolari, i quali, aspirando ad un repentino riscatto sociale, si figuravano in cene galanti con dive platinate. Nel Museo dell’Innocenza come nella penna di Pamuk è palpabile invero un’indagine profonda sulle tensioni socio-politiche e identitarie di una Turchia in evoluzione ed in bilico fra il laicismo nazionalista, il conservatorismo religioso delle classi meno abbienti e l’ansia borghese di conformarsi al modello occidentale. Tendenze espresse nei profili psicologici tratteggiati da Pamuk attraverso la frustrazione e inadeguatezza scaturite dal senso di colpa per il fardello di una mentalità tradizionalista e dal vuoto che la modernizzazione comporta. Un’Istanbul colma di acuti stridori riscopre così un’ingenua e malinconica innocenza all’interno di un «museo sentimentale», plasmato su una finzione narrativa ma al contempo capace di raccontare concretamente la quotidiana esperienza urbana di una memoria che, seppur stravolta dall’incipiente modernità, rivive in oggetti comuni, minuti dettagli carichi di magia e intrisi di significato.