In un lucidissimo appunto di diario steso il 22 dicembre del 1954 (Furtwängler era morto neanche un mese prima, il 30 novembre) Gianadrea Gavazzeni scrive: «Per la morte di Furtwängler nessuno dei necrologi ha ricordato un particolare notevole … e cioè la parte avuta da Ludwig Curtius nella formazione giovanile, in qualità precettoria. Si veda nella pasqualiana Storia dello spirito tedesco nelle memorie di un contemporaneo, la parte dedicata al Curtius precettore. Prima in casa Furtwängler, per l’eccezionale Willy al quale il padre seppe trovare guida altrettanto eccezionale; poi unendo a Willy Gogo Hildebrand, figlio dello scultore e scrittore, nella villa fiorentina. Poche pagine che nel libro del Pasquali sono mirabili, per nerbo biografico, con dietro un alone della Firenze estetistica, quella delle dimore di artisti stranieri, in quel tempo. Occupandosi di Furtwängler sono pagine che vanno conosciute. Contribuiscono alla illuminazione giovanile e segnano l’ambiente culturale che le diede condizione». Gavazzeni aveva ragione: riconsiderare l’arte di Wilhelm Furtwängler partendo da una ricostruzione minuziosa delle coordinate all’interno delle quali trovò spazio il suo percorso di formazione potrebbe rivelarsi fruttuoso anche in funzione di una più matura comprensione delle linee fondanti della sua poetica di interprete.
Passione per l’antico e sensibilità musicale sono disposizioni che il giovane Furtwängler trovò, per così dire, in casa, felicemente accoppiate: il padre di Wilhelm, Adolf, fu tra i più grandi archeologi classici della sua epoca: un personaggio davvero gigantesco, tra i padri fondatori della moderna archeologia di impianto storicistico; quanto alla musica, in modo pienamente conforme ai canoni che configuravano, nella Germania dell’epoca, la Bildung borghese, essa era molto ben rappresentata tanto da parte paterna quanto da parte materna, anche se più a livello di pur consapevole dilettantismo che non in termini di vero e proprio professionismo; il piccolo Wilhelm prese comunque le sue prime lezioni di musica in casa, dalla madre, Adelheid Wendt, e dalla sorella del padre, Minna, che era una buona pianista dilettante. Già nel 1898, quando Wilhelm ha dodici anni, il padre decide di ritirarlo da scuola per affidarlo alle cure di due precettori d’eccezione, scelti tra i suoi allievi migliori: l’archeologo Ludwig Curtius e Walter Riezler, archeologo e musicologo, autore, nel 1936, di una fortunatissima monografia su Beethoven. Nell’autunno del 1901 Wilhelm fu in Grecia con il padre, impegnato negli scavi del santuario di Afaia a Egina: il padre lo descrive attento, più che ai luoghi e alla gente, alla musica che ha portato con sé da casa, in primo luogo gli ultimi quartetti di Beethoven; in Grecia il giovane Furtwängler legge poesie di Goethe, prova a comporre e scrive lettere all’amica Bertel von Hildebrand, nelle quali (smentendo, almeno in parte, le impressioni del padre) evoca la bellezza del cielo, del mare e del paesaggio, dichiarandosi, a un tempo, impressionato dalle rovine che lo popolano. A completare il quadro, merita un cenno il lungo soggiorno fiorentino della primavera del 1902: il giovane Willi, appena fidanzatosi con Bertel, fu ospite con Curtius del padre di Bertel, Adolf von Hildebrand, presso la sua residenza fiorentina, sulle colline di Bellosguardo. Scultore di valore assoluto, amico di Conrad Fiedler e di Hans von Marées, Hildebrand aveva pubblicato nel 1893 quel Problema della forma nell’arte figurativa (Das Problem der Form in der bildenden Kunst) che fu senza alcun dubbio tra le letture che più influenzarono il giovane Furtwängler. 
La galleria di figure che accompagnano l’infanzia e l’adolescenza di Wilhelm, la sua prima formazione culturale e musicale, mette insieme in modo del tutto armonico dilettantismo colto di impronta Biedermeier, avvertita sensibilità artistica, e agguerrito, consapevole professionismo intellettuale; il tutto all’interno di una prospettiva umanistica di stampo decisamente winckelmanniano che abitua molto presto Furtwängler ad associare in modo del tutto naturale il venerato Omero e i capolavori dell’architettura e della plastica greca da un lato ai grandi della deutsche Klassik, Goethe su tutti, e, dall’altro, ai maestri del Classicismo viennese, e in particolare a Beethoven. C’è da chiedersi se sia plausibile immaginare che tale retroterra non abbia giocato alcun ruolo nella configurazione della poetica di Furtwängler interprete. Per quel che mi riguarda, sono convinto del fatto che questo ruolo non soltanto sia innegabile, ma rappresenti, della poetica di Furtwängler direttore, un punto cardinale. All’interno dell’ampio corpus degli scritti lasciati da Furtwängler, un esempio particolarmente istruttivo è fornito da un lungo scritto del 1951 (Beethoven und wir. Bemerkungen über den ersten Satz der Fünften Symphonie) dedicato all’analisi del primo movimento della Quinta Sinfonia di Beethoven, ma con ricadute che coinvolgono un grumo di problemi ben più ampio e complesso. Per provare a isolarne i punti salienti, direi che il tratto essenziale del discorso musicale beethoveniano è individuato, con insistenza quasi ossessiva, nell’organizzazione architettonica degli elementi che lo compongono; la necessità di isolare da quel che segue il celeberrimo ‘motto’ affermato nelle prime battute è argomentata in virtù di considerazioni che chiamano in causa la funzione architettonica del ‘motto’ stesso; l’effetto provocato nell’ascoltatore dalla transizione al secondo tema (bb. 52-58) è descritto per il tramite di una efficace similitudine architettonica: «Chi ascolta ha qui l’impressione che tutto il pezzo ruoti improvvisamente su una cerniera, su un gigantesco cardine. Che straordinario portale per un secondo tema!»; il procedere del discorso musicale, il suo progressivo sviluppo (Entwicklung), sono situati, insieme che nel tempo, all’interno di una dimensione spaziale architettonicamente connotata. L’articolazione formale del movimento è assimilata a un Geschehen, a un ‘divenire’, al quale Furtwängler attribuisce funzione di Vordergrund, di strato superficiale, in primo piano, rispetto a uno Hintergrund al quale è affidato, quasi sotterraneamente, il compito di mettere in rapporto gli elementi discreti, isolati, che concorrono alla configurazione del piano superficiale. In relazione alla categoria di ‘forma’ (Form), per la quale fa ricorso al Goethe degli Urworte, Furtwängler sottolinea il carattere di ‘semplicità’ (Einfachheit) che caratterizza il risultato al quale perviene regolarmente, in Beethoven, il processo di composizione tra opposti del quale ho appena detto; in Beethoven la ‘semplicità’ del risultato finale è, in realtà, il frutto di un processo faticoso di progressiva semplificazione del complesso; il pensiero musicale di Beethoven sa andare fino in fondo in direzione del raggiungimento della ‘formulazione più semplice possibile’; la ‘nostalgia (Sehnsucht) per la chiarezza e l’armonia’ che informa di sé l’uomo Beethoven - così Furtwängler - determina nell’artista la ricerca di percorsi che, muovendo dal caos e dal molteplice, siano in grado di condurre a semplicità e chiarezza.
Ben al di là del costante coinvolgimento degli amati Greci (Omero, Eschilo, Platone, Aristotele su tutti), quel che colpisce, qui come molto spesso altrove negli scritti di Furtwängler, è il coinvolgimento di categorie che affondano le loro radici nel mondo del cosiddetto secondo umanesimo e della deutsche Klassik. Qualcuno, ad esempio, ha mai inteso il primo movimento della Quinta in termini più scopertamente umanistici, e anzi tout court winckelmanniani? E la similitudine architettonica che descrive la transizione al secondo tema come l’apertura di un gigantesco portale è davvero fantasioso farla risalire all’emozione provata dal giovane Willi al cospetto delle rovine di Egina e di Atene, al tempo del viaggio in Grecia in compagnia del padre? Io credo di no: la sfida che attende in futuro gli esegeti di Furtwängler consiste proprio nel tentativo di strapparlo ai vapori del tardo romanticismo per collocarlo in una prospettiva che identifichi il punto focale della sua poetica interpretativa non in Wagner e in Bruckner, ma, appunto, in Beethoven. È un compito impegnativo; nel frattempo, proporrei di riascoltare il primo movimento della Quinta Sinfonia di Beethoven in una delle esecuzioni più antiche tra le molte lasciateci da Furtwängler (si tratta di una registrazione di studio con i Berliner Philharmoniker risalente all’ottobre del 1937).