Prima di iniziare l’intervista con Massimo Bray, direttore generale dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, scambiamo qualche battuta. Parlando del suo rapporto con i libri, mi racconta che da bambino aveva una grande passione per i vocabolari, si divertiva a ricostruire un periodo storico attraverso le parole di quel tempo. Cercare “armatura” o “scudo” nelle minute descrizioni della pagina era un modo per immaginare un corpo preciso, per vederli davanti a sé.

Allora, prima di lasciare spazio al colloquio, provo a riprendere per un attimo quel gioco con una parola molto cara alla realtà di Treccani. E la parola che scelgo è atlante. Un volume che contiene tutte le mappe geografiche del mondo, che da piccoli ci ha aiutato a prendere familiarità con le città che abitiamo, e con i luoghi che vorremmo abitare. Atlante, però, se facciamo un passo indietro, nella mitologia greca è anche il nome di un gigante che regge sulle spalle il peso del globo terrestre. Ma cosa succede se ci soffermiamo proprio sulla parola? La parola atlante nasce da un verbo greco che in realtà non esiste, è il verbo tlao. La lingua greca ne registra solo pochissime forme verbali. Che raccontano, eppure, una storia molto affascinante, una storia che si lega indissolubilmente all’animo di Treccani. Il verbo tlao ha due significati. Il primo: “tollerare”, “sopportare”, “resistere”. Il secondo è una diretta conseguenza del primo: tanto hai tollerato, sopportato, resistito che hai imparato a “osare”, ad “avere coraggio”.

L’Istituto dell’Enciclopedia Italiana da quasi un secolo segue, registra e influenza la storia culturale del nostro Paese. Vorrei cominciare la nostra conversazione chiedendole in che modo Treccani dialoga con il suo passato.

Nell’introduzione della prima edizione del Ventinove, leggiamo che l’Enciclopedia ha una duplice missione: da una parte, serve a conservare la memoria della storia culturale di un Paese; dall’altra, a farla conoscere, quella memoria, a portarla nelle case di tutti. È insieme un compito di tutela e di valorizzazione. E sono tanti gli Istituti come il nostro che affidano questo compito all’Enciclopedia. Era il 2004, lo ricordo ancora nitidamente: alla Fiera del Libro di Francoforte rimasi stupito dallo spazio che occupava uno di quegli istituti, non aveva un padiglione intero, ma molto meno della metà. Chiesi il perché a uno dei suoi direttori e lui mi rispose lapidario: «Ma se n’è accorto o no che con Wikipedia siamo stati tutti colpiti da un ciclone?». Il 15 gennaio del 2021, tra meno di sei mesi quindi, Wikipedia compie vent’anni, e noi possiamo dire di aver resistito a quel ciclone. Però, come diceva quell’uomo austero che aveva guidato un grande istituto di cultura, è inevitabile che sia cambiato il nostro modo di fare enciclopedia. Treccani non ha mai voluto rompere i ponti con il passato, ma ha provato continuamente a ricostruire il suo impegno guardando al futuro.

Non rompere i ponti con il passato e, nel frattempo, guardare al futuro: come possono convivere i due aspetti?

Innanzitutto, con un lavoro editoriale in grado di sintetizzare queste due istanze. Per esempio, penso ai volumi del Contributo italiano alla storia del pensiero che indagano l’apporto italiano alla storia del diritto, della musica, della letteratura; ma nello stesso tempo mi vengono in mente le nuove frontiere culturali che abbiamo esplorato: basta citare la prima grande opera sulle neuroscienze, realizzata da Rita Levi-Montalcini, che si chiudeva con una parte dedicata all’ecologia e alla bioetica. Questo è stato il modo in cui una parte della missione iniziale non si è mai interrotta, e ha trovato nuovi percorsi per proseguire. Stiamo per ultimare un lavoro che abbiamo discusso a lungo con Tullio Gregory: due volumi che andranno ad aggiornare l’enciclopedia gentiliana, che raccolgono, possiamo dire, le parole del Ventunesimo secolo. Con Gregory ci dicevamo spesso che non bastava più aggiornare alcuni lemmi: adesso è arrivato il momento di ripensare radicalmente alcune parole nel contesto in cui viviamo. Ci stiamo confrontando con le voci “Umanesimo”, “Giornalismo”, “Innovazione”. Parole sensibili alle trasformazioni della nostra epoca, che oggi mostrano un modo differente di essere.

La domanda potrebbe risultare impertinente: questo tipo di lavoro editoriale oggi basta?

Come accennavo prima, provare a continuare una storia significa saperla interpretare sempre in maniera diversa. Per fare questo sono necessari linguaggi e strumenti nuovi. Ci siamo accorti che l’enciclopedia non era più sufficiente come unico canale di comunicazione. Infatti, poco più di un anno dopo la nascita del Web, Treccani ha aperto il suo sito Internet. Lo dobbiamo alla modernità, all’intuizione e alla curiosità di Rita Levi-Montalcini, che fu presidente del nostro Istituto. Lo abbiamo messo in piedi costruendolo come una piazza dei saperi: in un tempo in cui risulta difficile orientarsi nel mondo delle informazioni, offriamo ai nostri lettori tutto il nostro patrimonio, con la garanzia di un sapere certificato. E non solo: cerchiamo di dare vita a esperienze alternative, nuove, con i nostri magazine digitali, che sono parte integrante della nostra realtà.

Durante il lockdown, il portale ha raggiunto oltre un milione di utenti al giorno.

Credo che dipenda dalla necessità di trovare un punto di riferimento. Seguendo l’utilizzo degli utenti del portale, abbiamo capito che c’era un grande disorientamento generale. Intanto occorreva capire cos’era questa pandemia. Molti hanno cercato le parole contagio, virus. Eravamo tutti storditi di fronte ai provvedimenti draconiani annunciati dal governo Conte. Abbiamo cercato di dare risposte sicure sul pericolo dell’assembramento o sull’uso delle mascherine. C’è poi una cosa che mi ha colpito. Per molti giorni una delle parole più ricercate è stata resilienza: durante la pandemia, gli italiani capivano che bisognava trovare le forme per resistere. Di questi tempi, invece, le ricerche si orientano su crisi economica o divario digitale. È così che Treccani si confronta quotidianamente con i cambiamenti. E credo che ci sia molta continuità con i suoi primi propositi, non ci sono stati dei momenti di rottura. Probabilmente abbiamo anche commesso degli errori, provando ad andare avanti sicuramente si fanno degli errori, però mi sembra che quella piazza dei saperi sia oggi un luogo di riferimento importante per la cultura italiana.

A proposito di crisi economica, il mondo del libro sta scontando, e sconterà, un periodo di difficile ripresa. Come lo sta affrontando Treccani?

È chiaro che la pandemia, dopo la crisi del 2007-2008, pone a tutti gli editori il serio problema di come andare avanti. Sotto questo aspetto, i nostri canali digitali ci hanno molto aiutato a tenere vivo il rapporto con i lettori, e forse lo hanno incrementato, dando loro l’occasione di apprezzare quest’altra parte di Treccani che non riusciva a venire a galla. Lo abbiamo fatto, credo, con il solito garbo. Treccani nasce, ed è una società privata. All’inizio è un’anonima per quote, guidata da questa figura di imprenditore illuminato che era Giovanni Treccani. Oggi abbiamo la fortuna di avere diciannove soci molto solidi, che credono nella nostra missione. Nei mesi di lockdown, quando è cominciata la didattica a distanza, hanno favorito in tutti i modi la scelta di mettere a disposizione, in maniera gratuita, la nostra piattaforma rivolta alla scuola. Un grande sacrificio, in un momento di crisi così difficile, eppure per tutti fondamentale.

Quali saranno le vostre mosse future?

Negli ultimi mesi mantenere l’equilibrio non è stato facile, e anche noi stiamo cercando di ragionare su quali saranno i prossimi passi. Di sicuro la presenza nel mondo della scuola ci sembra indispensabile, perché è lì che andremo a formare i cittadini del futuro. È lì che dovremo cominciare a immaginare una storia diversa per il nostro Paese, e non solo. Perché sarà lì, e solo lì, che ritroveremo le forze per ricostruire la nostra identità europea.

Un’ultima domanda, una domanda personale, ecco. A vent’anni sognava, si immaginava, di diventare l’editore di un’importante casa editrice?

Editore è una parola troppo grande! Io non sono un editore. Tullio Gregory diceva che Treccani appare come un iceberg, a volte affiora la punta, che sono le persone che capita di vedere di frequente, però sotto c’è questo incredibile blocco che è composto da tantissime persone. Ovviamente, a me piacciono molto i libri. E adoro stare in Istituto. Penso che sia il posto in cui passo più ore, molte più che a casa … E questo spesso mi viene anche rimproverato. Lo faccio perché mi ritengo fortunato, è un luogo pieno di bellezza. È un’immensa fortuna stare tra queste pagine, tra queste letture, confrontarsi con grandi intellettuali. La vera sfida è tenere insieme tutto questo, storia e futuro, come dicevamo all’inizio, e non avere paura di guardarlo, questo futuro. Forse questo è un piccolo merito. Affrontarlo e indagarlo con coraggio.

Immagine: Mimmo Paladino, La conoscenza, 2015. Crediti: courtesy l'Artista e Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani

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