Gli elettori democratici e indipendenti vogliono battere Donald Trump. A ogni sondaggio, gli intervistati preferiscono questa risposta a quella che propone “voto il candidato con il quale sono più d’accordo”. I risultati del Super Tuesday ci dicono che la maggioranza degli elettori ritiene che il candidato più forte per far uscire il presidente dalla Casa Bianca sia Joe Biden. Ma la strada di Biden è ancora in salita e Bernie Sanders, parlando in Vermont, ha promesso ai suoi sostenitori che la nomination la vincerà lui. Tanto più che prima di avere i dati esatti dalla California passeranno dei giorni (e quello Stato ha la delegazione alla Convention più numerosa).

Un altro dato dice che una parte del Partito democratico ha saputo contenere la rivoluzione di Sanders, facendo pressione sui due candidati moderati che sottraevano voti a Biden (che, va detto, non avevano alcuna speranza di farcela). Quella di Biden è anche una vittoria dell’establishment, ma senza trucchi o inganni: i candidati moderati si sono fatti da parte per sostenere il più forte tra loro. Naturalmente, la lettura di questi ritiri cambia molto se si ascoltano le voci provenienti dal campo di Sanders. Quanto questa animosità diverrà un problema è uno dei temi cruciali per la campagna elettorale vera. Trump cercherà, come ha fatto in queste settimane, di seminare zizzania nel campo avversario, cercando di rosicchiare qualche voto nella parte più anziana e working class dei sanderisti.

L’ex vicepresidente ha vinto in Virginia, Alabama, Arkansas, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Texas e Tennessee. Sanders ha vinto nel suo Vermont, in Colorado, Utah e in California. Michael Bloomberg invece ha speso male i suoi soldi, e ha vinto solo i caucus delle American Samoa. Male Elizabeth Warren, che non vince nel suo Massachusetts e pur guadagnando delegati in diversi Stati non sembra avere avuto la spinta che sperava dal ritiro di Buttigieg e Klobuchar. Possibile che rimanga in corsa per poter avere un ruolo alla Convention, il cui risultato finale è tutto da determinare. In ogni caso abbiamo la quasi certezza che il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà per certo un anziano bianco. Un bel paradosso per un Paese in cui la diversità sta arrivando anche negli Stati più remoti.

Un risultato tanto buono per Biden è una sorpresa. E non è un caso se c’è una fetta molto grande di elettori che dice di aver deciso chi votare negli ultimi tre giorni. Decine, centinaia di milioni spesi per arrivare in ogni angolo del Paese, avere un flusso continuo di eventi, foto e video sui social network da parte di Sanders e Bloomberg, e a Joe Biden è bastata una vittoria in South Carolina per cambiare il corso delle primarie. Il tutto con una campagna male organizzata e con un messaggio non particolarmente accattivante. Biden aveva e ha avuto dalla sua la riconoscibilità, la capacità di suscitare empatia nel pubblico e la fortuna di avere un avversario radicale non gradito a una parte dell’elettorato. E poi il sostegno incrollabile degli afroamericani: il 57% dei consensi dei neri vanno a lui. L’ex vicepresidente va molto bene anche tra le donne, un buon segnale per lui in vista della candidatura.

Sanders è andato peggio del previsto e molto si deve al ritiro di Klobuchar e Buttigieg – e alla pioggia di sostegni importanti arrivati al vicepresidente nelle ultime 48 ore. Che gli elettori indecisi si siano spostati quasi tutti su Biden è però un segnale di come Bernie, pure enormemente forte tra i giovani e in netta maggioranza tra i latinos, non abbia saputo allargare la propria base. Eccezion fatta per il suo Vermont, ovunque ottenga dei buoni risultati e vinca, Sanders non va molto oltre il terzo dei consensi ottenuti. Questa incapacità è stata la costante della sua campagna, un problema negato e nascosto dalla pluralità di candidature che hanno reso la sua più vistosa. Un dato tra gli altri: in Virginia la partecipazione alle primarie è quasi raddoppiata e a stravincere è stato Biden.

L’altro problema di Sanders si chiama Convention. Per giorni il senatore ha insistito: chi ci arriva con il maggior numero di voti deve ottenere la nomination. Quattro anni prima sosteneva un’interpretazione diversa del regolamento – cambiato dopo le sue proteste e dopo lunghe contrattazioni con suoi rappresentanti. È ancora possibile che Bernie ottenga il maggior numero di voti, specie perché in California il buon risultato di Bloomberg lo avvantaggia molto rispetto a Biden. Nelle prossime due settimane si voterà in dodici Stati, tra cui Michigan e Ohio, che Sanders considera un terreno possibile di conquista e il luogo dove la sua candidatura potrebbe sottrarre voti operai al presidente Trump. La Florida è buona per Biden, mentre l’Arizona, dove pesa il voto ispanico, potrebbe esserlo per Sanders.

Biden ha un problema simile, ma con altri segmenti dell’elettorato: Sanders ha ottenuto un risultato molto buono tra gli ispanici e, naturalmente, tra i giovani. Senza mobilitare questi due segmenti dell’elettorato, difficilmente i democratici vinceranno le elezioni. Tra l’altro Sanders prende molti voti tra le persone registrate al voto come indipendenti: molti sono giovani di sinistra, ma anche questo è un dato che dovrebbe preoccupare Biden in vista di un’eventuale candidatura. Che idee e capacità di appeal ha l’ex vicepresidente verso questa gente? Per adesso poca cosa. Come ha detto la figura cruciale per far vincere la South Carolina all’ex vice di Obama, il rappresentante afroamericano Clyburn, la campagna ha bisogno di una profonda ristrutturazione. Con il Super Tuesday esce rafforzata: arriveranno molte più donazioni e potrà trovare delle voci e dei messaggi nuovi.

Il risultato del Super Tuesday ci consegna una corsa a due. Bloomberg deciderà nelle prossime ore cosa fare, mentre Warren sembra intenzionata a continuare. La ragione di questa ostinazione è semplice: la corsa a due è per adesso alla pari e la senatrice, con un centinaio di delegati, può fungere da mediatrice. E magari ottenere un ruolo o inserire alcune questioni che ritiene fondamentali nel programma elettorale del candidato presidente. Proprio il calcolo di Warren, un po’ opportunistico, ci dice che la partita per la nomination non è chiusa. Il Super Tuesday, però, lo ha vinto Joe Biden.

Immagine: Joe Biden a New York, Stati Uniti (7 gennaio 2020). Crediti: lev radin / Shutterstock.com

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