L’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva resta in carcere. Questa è la decisione di Carlos Thompson Flores, presidente del Tribunale federale regionale di Porto Alegre. Flores ha così dato ragione al giudice federale João Pedro Gebran Neto che aveva bloccato l’ordinanza di scarcerazione emessa da Rogério Favreto, magistrato di turno nella stessa corte, in favore dell’ex presidente brasiliano. Lula è in prigione dall’aprile del 2018 e sta scontando una pena di 12 anni per corruzione e riciclaggio, nell’ambito dell’inchiesta denominata Lava Jato.

Questa situazione di divisione e contraddizione all’interno della magistratura brasiliana prende origine dalla richiesta presentata dai deputati del PT (Partido dos Trabalhadores) Wadih Damous, Paulo Pimenta e Paulo Teixeira, con la motivazione che, in quanto possibile candidato alle elezioni presidenziali di ottobre, Lula ha diritto di competere in condizioni di parità con i suoi avversari in attesa di una sentenza definitiva. Lo scontro politico giudiziario intorno alla figura di Lula non si è affatto concluso e la società brasiliana è molto divisa, come hanno dimostrato le manifestazioni che si sono tenute in tutto il Paese in occasione di questa ultima controversia: sono scesi in piazza sia i sostenitori di Lula sia i suoi avversari, che hanno acclamato alla decisione di Flores.

La popolarità di Lula è comunque molto solida nonostante queste disavventure giudiziarie; molti brasiliani sono convinti dell’innocenza dell’ex presidente e interpretano le accuse, i processi e la carcerazione di Lula, che si è sempre dichiarato innocente, come una sorta di golpe giudiziario. Il PT pare intenzionato a candidare Lula, ma sembra difficile che si creino le condizioni giuridiche perché possa competere.

I sondaggi restano invece favorevoli; alla fine di giugno, Lula figurava al primo posto nelle intenzioni di voto dei brasiliani con il 33%, seguito dal populista di destra Jair Bolsonaro con il 15%, da Marina Silva, ecologista ed esponente della sinistra delusa dal PT con il 7%, da Ciro Gomes del PDT (Partido Democrático Trabalhista) e Geraldo Alckmin, del PSDB (Partido da Social Democracia Brasileira), entrambi con il 4%. Naturalmente, l’eventuale, forzata rinuncia di Lula, potrebbe favorire Marina Silva; ma a soli tre mesi dalle elezioni la situazione rimane estremamente fluida e Bolsonaro, che alcuni avvicinano, anche per lo stile di comunicazione, a Donald Trump, coltiva intatte le sue ambizioni.

Crediti immagine: da Víctor Santa María. Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

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