La minaccia terroristica sta cambiando pelle, si sta evolvendo, duttile rispetto ai tempi, alle strategie adottate, ai mezzi utilizzati, agli obiettivi scelti: dagli hard ai soft targets, dalle capitali alle periferie, dalla presa di ostaggi ai kamikaze.
Quella del terrorismo, nel senso latino del termine “terrere”, ossia spaventare, incutere terrore - in particolare su una comunità di persone - è una pratica antica quanto è antico l’esercizio del potere che si discosta dalla connotazione di autorevolezza e si accosta a quella di autoritarietà. In questi termini, numerosi sono i casi nella storia di governi dispotici (tra i più antichi si annovera quello di Sargon il Grande, fondatore della dinastia di Akkad in Mesopotamia) e di quello che verrà poi considerato, sotto altre forme, “terrorismo di stato”.
Il terrorismo come più generalmente è inteso in età contemporanea, ovvero in quanto strumento di sovversione e lotta politica, è il risultato di una lunga evoluzione storica: nasce, come fenomeno vero e proprio, con lo stato nazione e, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, alcune delle attività in cui si è articolato (attentati contro capi di stato e di governo prima, presa in ostaggio di personale diplomatico e stranieri poi) acquisiscono un rilievo a livello internazionale, tanto da condurre alla stipula di convenzioni internazionali in materia, benché non sia stata raggiunta una definizione di “terrorismo” condivisa a livello di diritto internazionale consuetudinario. Per quanto il terrorismo si evolva e si connoti nel tempo di peculiarità ideologiche, etniche e religiose, è nel XXI secolo che diventa un fenomeno globale, non più sporadico ma quasi sistemico, appurata la sua capacità di condizionare almeno in parte le dinamiche del sistema internazionale. Con l’attacco dell’11 settembre e la cosiddetta “guerra al terrorismo” si è teso, infatti, ad accostare un termine storicamente utilizzato per il confronto con un attore esterno a un fenomeno combattuto, generalmente, a livello interno. Il termine “guerra”, usato per meglio intendere il senso dell’urgenza, è stato assunto dalla controparte come motivo di legittimazione alle proprie imprese basate su un ricorso parossistico all’aspetto psicologico e a una razionale interazione tra mezzi e obiettivi.
I terroristi dell’attuale contingenza, ben consapevoli della carenza tattica e dell’inferiorità nel confronto militare, confidano nel fatto che provocare una serie di eventi capaci di scioccare la popolazione sia il modo per far emergere i vacuum sociali e indebolire le strutture politiche al punto da indurne il collasso. Ecco perché si evolve, insieme alle pratiche di attacco e alla tecnologia cui fa ricorso, anche il target dell’attentato. Dal circolo ristretto delle figure politiche e delle élite connesse, l’obiettivo diventa la popolazione. La spiegazione del cambio di target risiede nell’evoluzione del concetto stesso di [Stato](javascript:void(0);/1469019069068/), inteso come quel connubio costituzionalmente sancito tra territorio, ordinamento giuridico e popolo. Ed è proprio la diffusione della democrazia e il radicamento profondo dei suoi valori nella popolazione che fanno di quest’ultima la rappresentazione tangibile e concreta dello Stato. Si potrebbe leggere in questa chiave il tragico, recente, attentato a Nizza, perpetrato non a caso in occasione della celebrazione della festa nazionale.
La regola del terrorismo è il rifiuto delle regole, dei codici, delle consuetudini. Prendere come obiettivo i civili, gente inerme e disarmata, e ancor di più coinvolgere nel massacro i bambini, è la forma di violenza politica più aborrita. Si prendono spesso in esame le problematiche per cui, e le modalità attraverso cui, i giovani si accostino all’organizzazione terroristica, spesso tralasciando le motivazioni per le quali i bambini siano tra le vittime degli attentati: come nel caso della scuola di Beslan (settembre 2004), di Homs (ottobre 2014) e di Peshawar (dicembre 2014), e più recentemente del parco giochi di Lahore (marzo 2016) e del centro commerciale del quartiere di Karrada a Baghdad (luglio 2016), si attenta alla perpetuazione di un popolo, della sua cultura e dei suoi valori.
Si guardi poi al fatto che, dopo aver preso di mira la capitale, si attenti alla tranquillità di una città più periferica, quasi a voler dimostrare non solo la capacità di diffondere il terrore nei posti meno pensabili, ma anche di innescare il più generale risentimento per le realtà suburbane dove lo Stato è meno presente, sebbene nel caso di Nizza, così come in quello di Tunisi, Parigi, Bamako o Dacca, si volessero probabilmente ledere il turismo e le attività commerciali su cui si basa lo sviluppo della zona.
Dai kamikaze giapponesi agli insorti iracheni, si fa inoltre sempre più ricorso alla pratica del suicidio. Se da una parte la letteratura sul tema argomenta come il suicidio risponda al tentativo dell’organizzazione di acquisire credibilità e popolarità, alzando il potere deterrente della sua stessa esistenza, dall’altra un’analisi più operativa ne dimostrerebbe la necessità tattica.
Attaccare un hard target, un obiettivo sensibile, è “qualitativamente” rilevante e “quantitativamente” più impegnativo. L’obiettivo è più protetto, sarà difficoltoso introdurre nell’area armi convenzionali, quindi per evitare che l’atto sia vano sarà indispensabile che l’attentatore suicida sia prossimo all’obiettivo, non essendogli concesso un second strike, essendosi autoeliminato. Al contempo, bisognerà studiare una via di fuga praticabile ed efficace che non faccia correre il rischio al colpevole di essere arrestato o metta in pericolo la rete dell’organizzazione qualora l’attentato non dovesse riuscire.
Al contrario, attaccare un soft target avrebbe maggiori vantaggi tattici, non dovendo far fronte a quei sistemi di tutela avanzati presenti nel primo caso, e non necessitando di piani di fuga (l’importante è uccidere piuttosto che scappare). In entrambi i casi il nesso di causalità, ovvero la possibilità che facendo esplodere un ordigno si generi, ad esempio, una fuga di gas e quindi una seconda esplosione e così via, sarà la determinante soprattutto per quegli attentati condotti in aree geografiche ove insistono sistemi di intelligence e sorveglianza avanzati, o il livello di allerta sia stato innalzato. In questi termini, anche l’aspetto geografico conta dal punto di vista dell’accesso al mercato nero delle armi e delle componenti esplosive. Se in paesi dove la carente presenza dello Stato permette il reperimento più facilitato degli esplosivi, l’attentato sarà condotto con maggior uso degli stessi, provocando un bilancio drammatico; nel caso contrario, con un minor uso dell’esplosivo, al fine di produrre un bilancio delle vittime che sia altrettanto drammatico, si necessiterà di condizioni di causalità maggiori, come negli ultimi casi: l’orario di punta in una metropolitana, l’uscita del venerdì sera, la gioia della Pasqua, la fine del Ramadan, una festa nazionale.
L’Europa, con il resto del mondo, sta dunque assistendo in diretta all’evoluzione di un fenomeno antico che sembra vincere le sfide del tempo e degli aggiornamenti tattici. I recenti attentati dimostrano la capacità dei terroristi di penetrare anche aree sicure o generalmente tali, siano esse una piazza, un ristorante, una discoteca, un aeroporto, una spiaggia, un museo. Sarà compito di quella stessa popolazione civile, assunta quale bersaglio deliberato, trovare la forza per non farsi coinvolgere nella confusione emotiva e lavorare di concerto con le autorità preposte alla sua protezione.

Per la fotografia  © Copyright ANSA