In Libano soffiano venti di guerra. Tutto è iniziato quando, sabato 4 novembre, il primo ministro libanese Saad Hariri ha annunciato le sue dimissioni con un discorso alla nazione pronunciato dalla capitale saudita Riyad e trasmesso dalla rete televisiva Al Arabiya. L’ex premier si è detto dispiaciuto di non aver potuto realizzare il suo sogno di rendere il Libano pienamente indipendente a causa dell’ingerenza continua dell’Iran e dell’azione di Hezbollah sul territorio libanese. Il partito politico e gruppo militare sciita guidato da Hassan Nasrallah, infatti, è uno storico alleato del governo di Teheran. In difesa delle ragioni di Hariri si è subito schierato il ministro degli Esteri saudita, Thamer al-Sabhan, che ha accusato senza mezzi termini il governo libanese di aver dichiarato guerra all’Arabia Saudita dal momento che le milizie di Hezbollah eserciterebbero un’influenza decisiva su tutte le decisioni assunte da Beirut. «I libanesi devono scegliere tra la pace e il sostegno a Hezbollah. Noi ci attendiamo che il governo libanese operi una efficace azione di dissuasione verso Hezbollah. Spetta ora ai libanesi decidere quali rapporti intendono avere con l’Arabia Saudita», così ha tuonato il capo della diplomazia saudita. Hezbollah, dopo aver acquisito le tecniche di guerriglia più avanzate nella guerra in Siria al fianco dei pasdaran iraniani, dell’esercito russo e delle truppe di Assad, starebbe pianificando – questo il timore saudita – attentati terroristici e costruendo due installazioni per la produzione di missili e armamenti.

Il principe saudita Mohammed bin Salman non intenderebbe più trascurare il Libano e scendere a compromessi che rafforzino l’egemonia iraniana e l’asse sciita Baghdad-Damasco-Beirut. Forte del sostegno dell’Egitto, di Israele, di tutti i Paesi del Golfo e, soprattutto, del presidente americano Donald Trump, avrebbe convinto Hariri a dimettersi per esercitare la massima pressione psicologica su Beirut e favorire la formazione di un nuovo governo senza alcun esponente di Hezbollah. Ma il presidente libanese, Michel Aoun, si è rifiutato di accettare le dimissioni di Hariri fino a quando l’ex premier non tornerà in patria per incontrarlo di persona. Il governo libanese è convinto che Hariri sia tenuto prigioniero a Riyad, dove avrebbe «una ristretta libertà di movimento» e questo sarebbe un vero e proprio «attacco alla sovranità libanese». Qualcuno sostiene addirittura che il discorso con il quale il premier ha annunciato le dimissioni sia stato preparato dal regime saudita: l’arabo di Hariri, in quell’occasione, era troppo classico e non era contaminato dalle caratteristiche libanesi.

Dal canto suo, l’Arabia Saudita ha replicato facendo notare che la scorsa settimana Hariri ha avuto una serie di incontri con il principe Salman, con l’ambasciatore francese e con il rappresentante dell’Unione Europea, che testimoniano come in realtà sia libero di muoversi. Nonostante sia stato costretto ad avviare le consultazioni con i principali partiti politici del Paese, il presidente Aoun ha assicurato che per il momento il governo andrà avanti come prima. Probabilmente Aoun non ritiene che l’Arabia Saudita possa permettersi di attaccare militarmente il Libano, coinvolgendo Israele per la concessione dello spazio aereo e, soprattutto, scatenando la reazione iraniana. Ma la tensione tra l’Arabia Saudita e l’Iran è tale che la paura che il Libano possa diventare un nuovo campo di battaglia è grande. Non a caso, davanti al rischio di una guerra imminente, l’Arabia Saudita e tutti i Paesi del Golfo hanno invitato i loro cittadini a lasciare immediatamente il Paese dei Cedri.

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