Il Comandante in capo della rivoluzione cubana, Fidel Castro Ruz, lascia Cuba, chiudendo così l'ultima pagina di storia della guerra fredda, di cui Fidel è stato l'ultimo protagonista ad uscire di scena. Pur se alla guida di un paese piccolo, l'influenza che egli ha esercitato è andata ben oltre i limitati confini dell'isola caraibica, forte di un messaggio storico e politico che ha rappresentato uno dei capitoli più importanti della storia del secolo scorso.

Oltre che per la costante contrapposizione al vicino nordamericano, alimentata da un perenne sentimento di lotta contro gli USA – la sua visione è stata infatti fortemente ispirata più al “libertaor” Jose Martì che all'ortodossia socialista e comunista – la Cuba di Fidel è divenuta famosa nel mondo per un messaggio di inclusione sociale destinato a fare storia. Alla guida del paese per quasi cinquant'anni senza interruzione, Fidel ha visto realizzati importanti traguardi “para su pueblo”: l'abbattimento della mortalità infantile (da 60 bambini per ogni 1000 del 1959 a 4,2 di oggi) l'aumento della speranza di vita (da 60 a 75 anni per gli uomini e da 65 a 80 per le donne), l'universalizzazione del diritto all'educazione (che ha portato all’abbattimento di quell’analfabetismo che pesava per il 40% nel 1959) e del diritto alla salute (nell’isola si contano circa 8 medici per ogni 1000 abitanti, uno ogni 130 abitanti, uno tra i livelli più alti del pianeta).

Eppure, dopo 10 anni di progressivo allontanamento dal ruolo di leader indiscusso del paese, del governo e del partito, Fidel lascia una Cuba in una grave crisi economica e sociale. Già nel 2006, a causa della sua malattia, il leader maximo affidò progressivamente al fratello Raul la guida del Partito Comunista, del Consiglio di Stato e delle Forze Armate, passandogli così l'eredità della rivoluzione, con la missione di “actualizarla”, soprattutto per far fronte alla grave difficoltà economiche dell'isola, storicamente legata all'embargo USA e alla fine del sostegno sovietico.

Anche se a molto è servito il trasferimento di quasi 90 mila barili di greggio al giorno a prezzi preferenziali voluto da Chavez nel quadro della progressiva collaborazione tra Cuba e Venezuela promossa da Chavez e Castro all'indomani del “periodo especial” degli anni ‘90, le falle strutturali del sistema in questi ultimi anni si sono sempre più palesate, spingendo il governo a un'accelerazione sul piano delle “riforme”; prima fra tutte, l'introduzione, in forme limitate, del lavoro privato e l'apertura agli investimenti.

Dopo oltre 8 anni dall'avvio del processo di “actualizacion”, molto lentamente la società cubana sembra aprirsi all'iniziativa privata con circa 500 mila “cuentapropistas”, molti dei quali, oggi, iniziano ad essere insoddisfatti per le ristrettezze in cui sono costretti ad operare. Più efficace sembra essere l'introduzione di una vantaggiosa legge per gli investimenti (fortemente gradita al nuovo alleato di L'Avana, il governo cinese) ed il lancio del porto di Mariel, destinato a divenire un hub logistico e produttivo per tutta l'area oltre che scalo obbligato per i commerci tra Atlantico e Pacifico via Canale di Panama, che sta attraendo con sempre maggior vigore molti paesi di tutto il mondo: dall'Europa, dalla Cina, dall'America Latina e, da ultimo, dagli Usa, che dopo la distensione voluta da Obama hanno adottato diversi espedienti per agevolare gli investimenti sull'isola aggirando l'embargo. Ma la strada appare ancora in salita, anche perché, come aveva notato uno dei più acuti dissidenti democratici interni, l'economista Oscar Espinosa Chepe, uno dei principali danni determinati dalla rivoluzione è stata “la distruzione della cultura del lavoro”, problema che Raul ha dovuto riconoscere in uno dei recenti interventi fatti il 26 luglio del 2008, nella commemorazione della presa della “Caserma Moncada”.

Fidel, in questi ultimi anni, ha seguito da lontano questo processo, senza mai, tuttavia, di fatto esprimere un sostegno o indicare una direzione, anche se la missione di Raul, “l'actualizacion”, era stata chiaramente indicata, senza però formulare una scelta chiara in merito all’apertura del sistema politico. Alla progressiva apertura economica, che in molti vedono fortemente ispirata al modello cinese, non è però corrisposto, per l'appunto, un cambiamento del sistema politico, forse perché, come ha sottolineato Alfredo Somoza recentemente, “Fidel è stato implacabile nel gestire il potere impedendo l'emergere di altre figure che potessero fare ombra al suo ruolo di guida”.

Per questo motivo, la sua uscita di scena rappresenta un momento di passaggio cruciale per l'isola, destinato ad avere conseguenze irreversibili in questa transizione così complicata e travagliata. In un emisfero che attende con ansia e timore l'insediamento del Presidente eletto degli USA, a quasi due anni dall'apertura delle relazioni tra Barack Obama e Raul Castro, le sorti del futuro di Cuba senza Fidel avranno un peso non irrilevante per l'intera regione, in un momento di forte indebolimento dei governi bolivariani e dei loro alleati in tutta la regione, offuscando quel motore di integrazione regionale che aveva alimentato il concetto bolivariano di “patria grande” e, recentemente, alla base della spinta propulsiva che nell’ultimo decennio ha dato uno slancio a vari tentativi ed esprimenti di carattere regionale, come l’Unasur e la Celac.

Così vale anche la pena notare che Castro muore proprio alla fine dell’anno che precede l'atteso 2018, quando scadrà il mandato quinquennale di Presidente del Consiglio dei Ministri affidato dal Parlamento monopartitico a Raul nel febbraio 2013 per l'ultima vota, e anno in cui si celebrerà l'atteso VIII Congresso del Partido Comunista Cubano (PCC), che potrebbe discutere importanti riforme del sistema politico. Nel marzo del 2013, il PCC, unico partito presente nell'Asamblea Nacional del Poder Popular, promosse un uomo di fiducia di Raul, un ingegnere elettronico (il primo non militare a divenire Vice Presidente), segnando di fatto una sua predestinazione per la successione nel 2018, anche se in molti oggi prevedono, una volta accettato il principio che un Castro non possa essere la guida del futuro, un affollamento di concorrenti, cui potrebbe prendere parte anche uno dei figli dello stesso Fidel, da tempo in prima linea a fianco di Raul nella gestione del paese.

Certo è che Fidel non vedrà questo scenario, e non assisterà alla sanzione della fine del sistema socialista (che nei prossimi mesi potrebbe portare al superamento di uno dei nodi più complessi non ancora superato dalle riforme, il “bi-monetarismo”) e monopartitico. Così, andandosene, porta via con sé l'idea stessa di una rivoluzione intatta, per così dire non contaminata dalle prossime inevitabili vicende che attendono l'isola. Per questo Raul, nel dare l'annuncio della morte di Fidel a “su pueblo”, non ha rinunciato a salutare i cubani con l'ormai eterno motto: “Hasta la victoria, siempre!”.

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