«Auguro buona fortuna a tutti i ciprioti, a nord e a sud» è stata la frase – non soltanto di circostanza, ma carica di frustrazione e indizi che lasciano intravedere quanto potrà accadere in futuro – con cui il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha decretato lo scorso 7 luglio il fallimento delle trattative per la riunificazione cipriota.

Le cause del fallimento

Unanime l’opinione che l’ostacolo principale all’accordo siano state le questioni di sicurezza, in particolare legate alla presenza dell’esercito turco sull’isola dal 1974: che i greco-ciprioti chiedono si ritiri del tutto, mentre i turco-ciprioti chiedono che resti per la loro sicurezza.

Ma i punti di vista su di chi sia stata la responsabilità maggiore sono diversi. Secondo Grecia e Repubblica di Cipro, la Turchia non sarebbe stata disposta a fare passi indietro. Mentre secondo Turchia e comunità turco-cipriota, sarebbe stato il presidente greco-cipriota Anastasiades a non accettare nessun compromesso e sbattere la porta quando l’accordo era ormai vicinissimo.

Fonti ONU sembrano confermare che l’ultima posizione raggiunta avrebbe visto il passaggio dalle 40.000 truppe turche attuali ad appena 650 soldati, con impegno verbale per un ritiro completo se fossero passati alcuni anni senza incidenti. Un’occasione imperdibile per alcuni, ma una posizione comunque inaccettabile per Anastasiades che, secondo molti osservatori, anche greco-ciprioti, avrebbe anteposto così i propri interessi elettorali (a breve correrà per il rinnovo presidenziale) all’ultima possibilità concreta di riunificazione dell’isola.

Come l’ha presa l’isola?

Esclusa la gioia degli estremisti nazionalisti e la delusione dei pochi attivisti pacifisti, i cittadini ciprioti hanno continuato a mostrare la stessa indifferenza che avevano riservato per il processo di pace.

A un osservatore esterno appariva infatti strano, nei giorni delle trattative, come nella capitale Nicosia non si respirasse nessuna aria di eccitazione per l’occasione storica che andava dipanandosi.

Troppa la disillusione, le occasioni perse in passato. La convinzione che se anche un accordo fosse stato trovato tra i leader, sarebbe poi stato fatto naufragare nel successivo referendum popolare, per il quale circolavano già voci di una data, a fine novembre.

Emblematico il fatto che Unite Cyprus Now, un’iniziativa nata spontaneamente online a partire da maggio, che vedeva incontrarsi ogni sera membri delle due comunità nella zona cuscinetto, fosse quanto di più significativo esistesse a sostegno del processo di pace, quando la sua pagina Facebook contava appena 5000 seguaci, che si riducevano a poche decine negli incontri serali (su una popolazione complessiva che supera il milione di abitanti).

E ora, quale futuro?

Dopo oltre quarant’anni di fallimenti, le parti sono abituate a pensare che un’altra possibilità di riprendere le trattative sia sempre pronta ad aspettarli, mantenendo nel frattempo lo status quo. Ma questa volta potrebbe non essere così. Per iniziare, già dopo l’interruzione delle trattative a giugno 2017, per riportare le parti al tavolo negoziale, l’ONU aveva minacciato il ritiro delle truppe che attualmente stazionano nella zona cuscinetto tra le due comunità. E ora la prospettiva diventa immediatamente più concreta.

L’inviato ONU, Barth Eide, che per anni aveva tenacemente saputo mantenere in vita le trattative, lascerà presto il suo posto per partecipare alle elezioni norvegesi, che si terranno in settembre. E a quel punto l’ONU dovrà decidere cosa fare, ma quasi certamente non cercherà un sostituto, dato che è noto come non ci sia nessun piano per riprovare a breve a riportare al tavolo i contendenti.

D’altra parte, la Turchia ha già detto che un nuovo tentativo sarebbe inutile. Mentre nella Repubblica di Cipro (che controlla il Sud dell’isola a maggioranza greco-cipriota) tutto resterà sospeso fino alle elezioni presidenziali di febbraio, che a questo punto vedono rafforzati i partiti che si oppongono a ogni trattativa.

In tutto questo, l’augurio di Guterres è il segno più tangibile di cosa potrebbe succedere. Nel 1956, quando il ministro per le colonie britannico, Alan Lennox-Boyd, si vide respinto un piano per l’autodeterminazione che avrebbe di fatto consegnato in dieci anni l’isola alla maggioranza greco-cipriota, si congedò nervosamente dall’arcivescovo Makarios con la frase “Dio salvi il vostro popolo”. Molto diverso dall’augurio rivolto ora da Guerres ai ciprioti “a nord e sud”: che riconosce per la prima volta un possibile destino diverso per le due comunità e i due territori.

Tre scenari per la separazione

Molti greco-ciprioti pensano di aver ottenuto con lo stop alle trattative una sostanziale conservazione dell’attuale situazione: ovvero separazione di fatto, ma non formale, con nessun riconoscimento internazionale della parte nord in cui risiede la comunità turco-cipriota, e l’ipotetica possibilità di una futura riunificazione.

Ma in assenza di ragionevoli possibilità di una ripresa delle trattative, la direzione di Turchia e comunità internazionale è assai più probabilmente rivolta verso la separazione (anche se con tempi non certo brevi). Questa potrebbe avvenire in tre modalità.

Annessione: ovvero l’ingresso della parte nord dell’isola nella Repubblica di Turchia, è uno scenario apparentemente improbabile ma il più temuto, tanto dai greco-ciprioti, quanto in gran parte anche dai turco-ciprioti (generalmente progressisti e più vicini all’Unione Europea che alle posizioni di Erdoǧan), oltre che dalla comunità internazionale per le ripercussioni sullo scacchiere mediorientale.

Divorzio: in questo contesto sarebbe la soluzione migliore, con un accordo tra le due comunità per la restituzione di parti di territorio alla Repubblica che aprirebbe la strada a una pacifica convivenza in due entità separate e allo sfruttamento congiunto delle riserve di gas attualmente bloccate dal conflitto. Ma la formale dissoluzione dello Stato nato dall’indipendenza del 1960 sarebbe difficilissimo (attualmente impossibile) da digerire per l’opinione pubblica greco-cipriota.

Partizione: in assenza di una firma da parte della Repubblica di Cipro, si potrebbe arrivare a una separazione unilaterale della parte turco-cipriota, ma a differenza dell’attuale Repubblica Turca di Cipro Nord, riconosciuta dalla comunità internazionale. Questa soluzione “kosovara” farebbe uscire dal limbo la comunità turco-cipriota, ma non allevierebbe la tensione con il Sud e creerebbe una spaccatura all’interno dell’Unione Europea. E per farlo, l’ONU dovrebbe trovare il modo di superare le sue stesse risoluzioni passate che riconoscono alla Repubblica il diritto alla restituzione totale.

Insomma, un percorso ancora lungo. E se per arrivare a un nulla di fatto nella riunificazione sono occorsi più di quarant’anni, nessuno si azzarda a ipotizzare quanto potrebbe servire per ottenere risultati in una nuova direzione.

Nel frattempo, gli attivisti di Unite Cyprus Now continuano testardamente a incontrarsi nella zona cuscinetto, mentre il muro tra le due comunità diventa simbolicamente ogni giorno più alto.

Crediti immagine: Matteo Migliazzi