Dal 30 novembre al 1° dicembre scorsi si è tenuta nella capitale argentina la tredicesima riunione del Gruppo dei Venti (G20), il gruppo che riunisce periodicamente leader politici, ministri delle finanze e governatori delle Banche centrali dei Paesi economicamente più rilevanti del mondo. Quello di Buenos Aires è il primo G20 organizzato in Sudamerica dall’istituzione di questo forum (1999). I Paesi e i gruppi di Paesi che ne fanno parte – Argentina, Arabia Saudita, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sudafrica, Turchia e UE – rappresentano l’85% del PIL globale, il 75% del commercio internazionale, i due terzi della popolazione mondiale. Il Paese ospitante ha facoltà d’invitarne altri e quest’anno l’invito è stato rivolto a Cile e Paesi Bassi. La Spagna, l’Unione Africana e l’Associazione nazionale del Sud-Est asiatico sono invitati permanenti. Unico assente confermato è stato il neoeletto presidente brasiliano Jair Bolsonaro, in quanto non ancora insediato; il Brasile è stato quindi rappresentato dal presidente uscente Michel Temer. Per la cancelliera tedesca Angela Merkel, invece, solo un contrattempo durante il viaggio verso il summit: l’aereo partito da Berlino la sera del 29 novembre è stato costretto a un atterraggio d’emergenza a Colonia per problemi tecnici.

Il vertice, ad ogni modo, non è nato sotto i migliori auspici: prima i disordini e gli incidenti che hanno costretto al rinvio della finale di Coppa Libertadores fra River Plate e Boca; poi le proteste di piazza degli argentini contro il governo, che ha speso 100 milioni di dollari per ospitare il G20 mentre il Paese ha dovuto chiedere 56 miliardi di dollari di finanziamento al FMI per uscire dalla crisi economica in cui versa; e da ultimo una scossa di terremoto del 4° grado della scala Richter che ha colpito la capitale proprio nella giornata inaugurale.

Oltre ai consueti temi economici e finanziari, nell’agenda argentina sono stati inseriti quelli del futuro del mercato del lavoro, dello sviluppo sostenibile, delle questioni di genere, delle infrastrutture per lo sviluppo.

Il G20 è un’occasione unica anche per colloqui bilaterali tra i leader presenti: un portavoce del Cremlino ha reso noto che il presidente Putin e quello americano Trump hanno avuto un breve colloquio a margine del G20. La Casa Bianca ha precisato che Trump ha avuto una «conversazione informale» con Putin durante la cena del G20. Le precisazioni si sono rese necessarie dopo che Trump, in volo verso Buenos Aires, aveva annunciato via twitter l’annullamento del bilaterale con Putin a causa dei gravi accadimenti dei giorni precedenti nello Stretto di Kerch tra Russia e Ucraina.

Alla fine di ogni summit è prevista la firma di una dichiarazione che impegni i partecipanti a rispettare gli obiettivi fissati nel corso degli incontri: quella di Buenos Aires ha rischiato di non essere sottoscritta e, comunque, affinché venisse firmata da tutti è stato necessario indebolirne il contenuto, frutto di molti compromessi e soddisfacente soltanto per gli USA del presidente Trump che non ha trovato ostacoli da parte degli altri diciannove Paesi alla sua linea negazionista sui cambiamenti climatici e protezionista sul commercio.

I protagonisti del G20 non hanno trovato un accordo pieno sul clima e nel comunicato finale si legge che «i Paesi firmatari dell’accordo di Parigi confermano come l’intesa sia irreversibile», tranne gli USA che ribadiscono la propria decisione di ritirarsi da quanto stabilito nella capitale francese.

Questo mentre sta per aprirsi in Polonia, a Katowice, la conferenza COP24 sulla lotta ai cambiamenti climatici che durerà fino al 14 dicembre prossimo e dovrà fissare il quadro regolamentare necessario per realizzare gli impegni sottoscritti a Parigi (a cominciare dai criteri che i Paesi dovranno adottare per misurare le emissioni inquinanti). Gli Usa di Trump non parteciperanno, al contrario della Cina, che vi chiederà maggiore flessibilità per gestire la transizione.

Sul tema del commercio i Paesi partecipanti al G20 hanno affermato di guardare con favore all’attuale «forte crescita economica globale, anche se sempre meno equilibrata tra i Paesi», e sottolineato come «alcuni dei principali rischi, tra cui le vulnerabilità finanziarie, si sono in parte materializzati»; ma nel testo, rispetto ai vertici degli anni scorsi, non c’è traccia di un qualsiasi riferimento alla lotta al protezionismo: si dà semplicemente conto della generica esistenza di «problemi sul fonte del commercio» e si sottolinea la necessità di riformare il WTO sostenendo che: «C’è spazio per un miglioramento» di questo organismo (altra impuntatura di Trump, da sempre molto critico verso l’approccio multilaterale del WTO, il cui processo di nomina di tre nuovi giudici su sette è al momento bloccato proprio da Washington con l’intento di minarne il funzionamento).

Il tema dei “grandi movimenti di rifugiati” ha trovato spazio nella discussione ed è stato liquidato sostenendo semplicemente che «sono una preoccupazione globale con conseguenze umanitarie, politiche, sociali ed economiche» e sottolineando «l’importanza di azioni condivise per affrontare le cause profonde dello spostamento e rispondere alle crescenti esigenze umanitarie». Nessun cenno, però, al Global Compact dell’ONU sui migranti.

Il clou di questo G20 è stato senza dubbio l’incontro bilaterale tra il presidente Trump ed il suo omologo cinese Xi Jinping, considerate le loro posizioni distanti e la guerra dei dazi in corso. Il 40% del prodotto interno lordo mondiale è rappresentato da Cina e Usa, che sono anche enormi mercati e destinazioni di investimento importanti: lo stato delle loro relazioni ha effetti non solo sulle loro economie ma a livello globale. Il FMI, ad esempio, a causa delle tensioni in atto, ha abbassato le previsioni di crescita globale per il 2018 e 2019. Anche le aziende sembrano voler rivedere le proprie strategie di business con modifiche alle catene di approvvigionamento che consentano di superare il problema delle eventuali tariffe aggiuntive programmate da Washington già da gennaio 2019. Trump ha un obiettivo preciso: dimezzare il deficit commerciale di 380 miliardi di dollari con la Cina chiedendo a Pechino di aumentare l’acquisto di beni e servizi statunitensi fino a 160 miliardi. Il presidente USA, che è arrivato all’incontro con Xi forte del successo politico (più che commerciale) della firma definitiva del T-MEC (il nuovo accordo con Messico e Canada che subentra al vecchio NAFTA fra i tre Paesi), dopo circa due ore e mezzo di colloqui, è riuscito a concordare una tregua dei dazi che durerà novanta giorni. Entro tre mesi i due Paesi dovranno trovare un accordo che apra un nuovo corso ai loro rapporti. Trump si è impegnato a non far scattare dal 1° gennaio prossimo l’aumento al 25% delle tariffe su una serie di prodotti cinesi (del valore complessivo di 200 miliardi di dollari), per intenderci quelli su cui gli Stati Uniti hanno applicato dazi del 10% (dall’acciaio all’elettronica). Pechino acquisterà subito dagli Stati Uniti prodotti agricoli, industriali e nel settore energetico, quelli colpiti dalle misure di rappresaglia della Cina ai dazi, per ridurre lo squilibrio commerciale denunciato da Trump. Se l’intesa non si concretizzerà entro novanta giorni, Washington applicherà gli aumenti del 25%.

Trump, infine, ha cancellato la conferenza stampa finale «per rispetto del lutto della famiglia Bush» riuscendo a sfuggire ad eventuali domande su Mosca, e sull’affaire Khashoggi. E si è guardato bene dal ricordare al principe ereditario saudita che un rapporto della CIA lo considera il mandante dell’omicidio del giornalista. Soltanto gli europei, in particolare il presidente Macron, hanno sollevato dubbi sull’uccisione di Jamal Khashoggi al principe ereditario Mohammad bin Salman, presente insieme al padre in Argentina. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha chiesto un’indagine completa e trasparente offrendo la collaborazione di un esperto italiano all’inchiesta.

Nessuno, poi, tranne Angela Merkel, ha chiesto a Putin spiegazioni sul sequestro delle navi ucraine nel Mare di Azov e dei ventiquattro marinai presenti a bordo, il quale ha replicato affermando che la questione è di competenza della magistratura.

Il prossimo G20 si terrà in Giappone e quello successivo, nel 2021, in Italia, grazie all’accordo con il presidente dell’India Modi, che avrebbe dovuto organizzarlo nel 2021; il G20 in India si terrà invece nel 2022, 75° anniversario dell’Indipendenza del Paese.

Crediti immagine: G20 Argentina.  Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0), attraverso www.flickr.com

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