La scelta di un’immagine da parte dei media spesso va oltre il significante. La fotografia con la quale gran parte delle testate europee hanno illustrato i festeggiamenti dei tifosi algerini dopo la vittoria della loro Nazionale all’ultima Coppa d’Africa (Senegal battuto 1-0 in finale) lo è senz’altro: non le celebrazioni ad Algeri, ben più roboanti e affollate, ma quelle salutate dai fuochi d’artificio sotto gli Champs-Élysées, a Parigi. È la storia del Novecento a spiegarne i motivi, è l’attualità di una Francia in cui il nazionalismo del Rassemblement National non ha perso occasione per attaccarli, quei festeggiamenti (e i relativi disordini), è la stessa figura del capitano dell’Algeria, Riyad Mahrez, nato nella banlieu parigina e mai vissuto nella patria di cui difende i colori. Un anno dopo la vittoria della Francia al Mondiale russo, di nuovo il centro del mondo calcistico mediatico ha esultato sotto l’Arco di Trionfo, in taluni casi a bandiere affiancate – quelle algerine e quelle francesi – a riprova di un concetto, quello di identità, tutt’altro che univoco. La scelta dell’immagine di cui sopra, tuttavia, denota anche un altro aspetto, quello di una narrazione comunque eurocentrica, anche quando il calcio è solamente un pretesto per tornare a considerazioni di stampo prettamente politico.

In questo modo, a molti è sfuggito l’abbraccio che ha unito la Nazionale algerina e l’Hirak, il movimento di protesta che vuole la fine dell’era di Abdelaziz Bouteflika, presidente dal 1999 per quattro mandati di seguito, e più in generale dell’intero gruppo di potere che si è creato negli anni attorno a lui, da tempo gravemente malato e dimessosi lo scorso aprile. Non a caso, uno degli slogan della vittoria è stato “deuxième étoile, deuxième République”, ovvero “seconda stella (l’Algeria ha vinto per la seconda volta la Coppa d’Africa, pertanto aggiungerà al suo logo la seconda stella dorata, ndr), seconda Repubblica”, e qui s’intende appunto la speranza del cambio di regime. Le elezioni, inizialmente previste per il 4 luglio, sono state rinviate: non c’è ancora una data, intanto però – potere del calcio – il calcio ha unito per qualche momento entrambe le fazioni, quella che si riconosce nell’hirak e l’altra che sostiene l’establishment, e questo nonostante le proteste del martedì (quelle degli studenti) e del venerdì (quelle generali) non si siano mai fermate, nemmeno durante la Coppa d’Africa.

La manifestazione, disputatasi in Egitto, ha visto l’Algeria vincere dopo 29 anni, un successo che ha portato la Nazionale a scalare di 28 posizioni il ranking FIFA – oggi è al 40° posto –, ma ha portato agli onori delle cronache anche la Nazionale del Madagascar, debuttante nel torneo e capace di arrivare sino ai quarti di finale. Un vero e proprio exploit per una Nazionale che, nel 2013, nel ranking mondiale si trovava alla posizione numero 187 e oggi occupa il 96° gradino, una crescita che ha dello straordinario, considerando l’assenza di strutture sportive e la presenza solo di un campionato amatoriale. In questo senso, non si può sostenere che dietro al risultato a sorpresa ci sia l’attivismo del presidente della federcalcio malgascia, Ahmad Ahmad, nel contempo anche presidente della confederazione calcistica africana e vicepresidente FIFA. Ahmad, figura chiacchierata e attualmente sotto indagine da parte della commissione etica della medesima confederazione mondiale del pallone, tuttavia può giovarsi di questo risultato in termini di immagine, così come ha fatto il presidente Andry Rajoelina, che al ritorno ha ricevuto i calciatori nella residenza presidenziale, li ha proclamati Cavalieri dell’Ordine nazionale del Madagascar e ha consegnato loro un premio di 250.000 dollari, stando a quanto riportato dal quotidiano News Mada. Padre padrone, Rajoelina: divenuto presidente a 35 anni nel 2009 a seguito di un colpo di Stato, è tornato di nuovo al Lavoloha State Palace a gennaio dopo le elezioni di fine 2018 e non si è lasciato scappare l’occasione della passerella con i calciatori, eroi per caso, ma comunque eroi per un’intera nazione.

Il 2019 è stato anche l’anno della Coppa d’Asia, giocata negli Emirati Arabi Uniti e caratterizzata dal successo epocale del Qatar, campione a sorpresa, ma non esattamente artefice di un miracolo sportivo. Spinto dallo sfruttamento delle zone grigie nei criteri FIFA per quanto concerne naturalizzazione e convocazione in Nazionale e dagli investimenti economici di Qatar Sports Investments in strutture e progetti calcistici, il Paese che nel 2022 ospiterà i Mondiali ha ottenuto il trionfo al momento giusto, proiettando ulteriormente nell’universo calcistico la propria potenza di fuoco. Quindici anni dopo il lancio della Aspire Academy, grazie alle partnership e alle collaborazioni con club satellite in Europa e Cina, forte infine di un progetto tecnico-organizzativo finanziato con cifre faraoniche e segnato dalla presenza di allenatori e manager europei, il processo ha raggiunto negli Emirati Arabi il punto più alto del suo sviluppo. Dopo tutto, anche a livello giovanile i segnali sono più che incoraggianti: la Under 20 si era qualificata per i Mondiali in Polonia (dove è stata eliminata ai gironi dopo tre sconfitte consecutive, ma questo era prevedibile), mentre l’Under 23 nella Coppa d’Asia 2018 era invece arrivata a un rigore dalla finale. Nella Qatar National Vision 2030 del governo qatariota lo sport e il calcio hanno un ruolo centrale, e i recenti successi sul campo, benché indiscutibilmente tecnici, assumono a tutti gli effetti una valenza prettamente politica, perché in fondo nascono proprio da lì.

In tutto questo, nel rimescolamento delle carte della geografia calcistica, appare reazionaria la vittoria del Brasile nella Coppa America disputata in patria (e alla quale ha preso parte, invitato, anche il Qatar). Ha vinto la squadra favorita – è seconda nel ranking mondiale – e fra le quattro semifinaliste non c’è stata una vera sorpresa. Piuttosto, anche qui si finisce per parlare della più iconica fra le fotografie dei festeggiamenti e, dunque, di politica, perché nel rituale scatto della Nazionale trionfatrice è finito, al centro della scena, il presidente Jair Bolsonaro. È lui (non i giocatori) a tenere il trofeo fra le mani, protagonista assoluto. Anche qui, non c’è da stupirsi: nel corso della campagna elettorale 2018, Bolsonaro aveva ottenuto l’appoggio di diverse grandi firme del calcio brasiliano, alcune scontate (come Felipe Melo, suo sostenitore di lungo corso, Kaká o Lucas Moura), altre decisamente meno, se si pensa all’appoggio esplicito di un irregolare come Ronaldinho e di Cafu, che pure era stato in passato vicino a Dilma Rousseff. Bolsonaro, che alle urne passò all’incasso, prima della finale aveva affermato di considerare la sua presenza al Maracanà come un test di popolarità e – nonostante i fischi del pubblico e l’imbarazzo di alcuni membri dello staff della Nazionale, primo fra tutti il ct Tite – ha scelto di andare sino in fondo, sino al centro di quel festeggiamento, al centro della foto. Al centro del Brasile.

Immagine: La squadra algerina alla Coppa delle nazioni africane del 2019 (7 luglio 2019). Crediti: mohsen nabil / Shutterstock.com

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