Un vertice avvenuto in un momento storicamente complesso, dal quale era pertanto difficile aspettarsi ‘risultati scoppiettanti’. Per questo, lo sforzo è stato quello della mediazione, con l’obiettivo di raggiungere ‘compromessi adeguati’. È la fotografia – impregnata di realismo – che il premier Paolo Gentiloni ha offerto alla stampa a conclusione del summit del G20 di Amburgo, dopo due giorni di confronto e di dibattito tra i principali leader mondiali. Il presidente del Consiglio ha parlato di un contesto internazionale in cui «le contraddizioni sono abbastanza evidenti» e di una «fase di assestamento» in cui la scena è occupata da forze contrapposte in conflitto tra di loro: da una parte, c’è infatti il tentativo di rilancio dei paradigmi del libero commercio, del multilateralismo, della condivisione delle grandi sfide globali; dall’altra, si è invece affermata una pronunciata tendenza alla chiusura nazionalistica e all’arroccamento protezionistico, nella convinzione che solo attraverso tale impostazione sia realmente perseguibile l’interesse nazionale. Quale delle due prospettive riuscirà ad avere la meglio, si scoprirà nel prossimo futuro.

Anche Angela Merkel – ‘padrona di casa’ ad Amburgo – era pienamente consapevole delle difficoltà strutturali insite nel summit, per via della profonda instabilità che anima il mondo globale e della diversità delle posizioni da comporre. Una diversità che, alla fine, è emersa anche dal comunicato finale, in particolar modo nella sezione dedicata al clima. E laddove il consenso non c’è – ha rimarcato la cancelliera tedesca – è bene che il dissenso sia espresso chiaramente nelle conclusioni.

Sul tema del cambiamento climatico, in Germania è venuta delineandosi la medesima contrapposizione già registrata nel corso dell’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo dei Paesi del G7 di Taormina: da una parte gli Stati Uniti, dall’altra il resto del forum. Il G20 ha preso dunque atto della decisione di Washington di ritirarsi dall’accordo di Parigi, al fine di perseguire strategie per la riduzione delle emissioni che garantiscano ‘sostegno alla crescita economica’ e vadano incontro alle ‘esigenze di sicurezza energetica’ nazionali. C’è poi un ulteriore passaggio sulla questione, segno dell’impronta trumpiana sui contenuti del comunicato: alla luce degli impegni assunti dagli altri Paesi nel quadro dell’accordo sul clima, gli USA si dicono pronti a collaborare con tutti gli Stati che necessitino di accedere – oltre che alle fonti rinnovabili – anche a combustibili fossili più puliti ed efficienti. Un riferimento, quello ai combustibili fossili, che diversi interlocutori non hanno evidentemente gradito, ma che pare essenzialmente rispondere all’esigenza di trovare un compromesso su una materia così delicata anche nella formulazione testuale, con la cancelliera Merkel a fare da paziente tessitrice della tela del dialogo. Sul punto, dunque, il consesso ha ceduto alle richieste della Casa bianca, la quale a sua volta ha dovuto invece constatare il proprio sostanziale isolamento in materia: gli altri leader di Amburgo hanno infatti dichiarato ‘irreversibile’ l’accordo di Parigi, consolidando ulteriormente il loro impegno nella lotta al cambiamento climatico con l’approvazione di un apposito Piano d’azione sul clima e sull’energia.

L’altro grande nodo tematico su cui i capi di Stato e di governo si sono confrontati è stato quello del commercio, in una fase storica in cui gli echi del protezionismo risuonano con particolare fragore. Anche qui, gli sherpa sono stati chiamati a un attento lavoro di mediazione per la ricerca di un compromesso, ma le parole del comunicato finale permettono comunque di scorgere un clima diverso rispetto al passato. Sin dal preambolo, la fiducia quasi cieca nelle forze della globalizzazione sembra infatti aver lasciato spazio a un approccio più soft, in forza del quale la globalizzazione stessa viene riconosciuta come uno dei motori della crescita economica, ma anche come processo i cui benefici non sono stati sufficientemente condivisi. Qui, a ben guardare, risiede una delle contraddizioni concettualmente più interessanti del forum di Amburgo, ben evidenziata in un’analisi di Edward Lucas sul sito della CNN. La posizione così espressa, che di fatto si ricollega anche alle regole del commercio internazionale, rispecchia in effetti tanto il pensiero del presidente Trump quanto quello dei quei manifestanti pacifici che nella città tedesca hanno voluto far sentire la loro voce, denunciando le iniquità del sistema globale. Tuttavia, la condivisione del medesimo pensiero avviene sulla base di premesse contrapposte: per l’inquilino della Casa bianca, le regole del commercio internazionale penalizzano gli Stati Uniti e le loro attività produttive, per i manifestanti quelle regole sono state scritte dai potenti della Terra per perpetuare le disuguaglianze a scapito dei Paesi più poveri.

Nel comunicato finale, comunque, permane l’impegno a combattere il protezionismo, così come a contrastare quelle pratiche commerciali ‘ingiuste’ di cui Trump ha più volte parlato nel corso della sua campagna elettorale. Contro tali pratiche – si legge nelle conclusioni – è poi contemplato l’impiego di ‘legittimi strumenti di difesa commerciale’, sulla base di un orientamento che va evidentemente incontro ai desiderata del presidente degli Stati Uniti. Sull’acciaio poi, si gioca una partita di grande rilevanza: qui a essere sotto accusa è soprattutto la sovracapacità produttiva cinese, che più volte Trump ha attaccato. Entro il mese di agosto, si dovrebbe procedere a uno scambio delle informazioni, in vista dell’elaborazione entro novembre di concrete proposte politiche per ridurre tale sovracapacità. Dunque, condivisione dei processi per evitare l’ipotesi più rischiosa: che gli Stati Uniti, a causa di mancate risposte sul tema, procedano con iniziative unilaterali.

Nel corso del summit si è poi parlato di migrazioni, seppure – come ha evidenziato Gentiloni – in una prospettiva di collegamento con i temi riguardanti lo sviluppo del continente africano. Anche qui, secondo il premier, sarebbe stato raggiunto un ‘compromesso onorevole’, ma la proposta del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk di prevedere sanzioni a livello ONU contro gli scafisti non ha trovato spazio.

A margine del summit, ci sono inoltre stati non meno importanti incontri bilaterali. Il più atteso, ovviamente, quello tra Donald Trump e Vladimir Putin, che hanno discusso di Siria – concordando un cessate il fuoco nel Sud-Ovest del Paese –, di Ucraina e delle presunte interferenze di Mosca nel processo elettorale statunitense. Sul tavolo, anche il dossier nordcoreano, di cui il presidente degli Stati Uniti ha avuto modo di discutere anche con il suo omologo cinese Xi Jinping, il capo dello Stato sudcoreano Moon Jae-in e il primo ministro giapponese Shinzo Abe.

Il G20 si è, dunque, concluso con tante questioni ancora aperte, alle quali si è provato in diversi casi a dare comunque una direzione. Specchio di un mondo parzialmente in confusione, che pare navigare a vista senza un vero nocchiero. Ad Amburgo, intanto, si sono registrati episodi di vandalismo e scontri tra polizia e manifestanti. La Merkel, che ha voluto riportare il summit in una grande città, sperava probabilmente in un esito diverso anche sotto il profilo organizzativo, a pochissimi mesi dalle elezioni federali.