Qualcuno diceva che un mare calmo non fa un buon marinaio. Figuriamoci una Commissione europea. Dopo la difficile conferma di Ursula von der Leyen, l’insediamento del nuovo esecutivo bruxellese pare non avere pace: il voto finale sulla compagine messa insieme dalla ex ministra della Difesa tedesca è stato posticipato a metà dicembre quando, di norma, la conferma della Commissione arriva sempre entro la prima sessione autunnale del Parlamento europeo (ovvero ottobre o novembre).

Proprio l’assemblea di Strasburgo ci ha messo molto del suo per frenare le ambizioni della von der Leyen, prima bocciando due candidati commissari non di primissimo piano (la rumena Rovana Plumb e l’ungherese László Trócsányi) sulla base di alcuni ‒ grossi ‒ dubbi riguardo conflitti di interesse e rispetto dello Stato di diritto, poi andando a colpire uno dei bersagli più grossi in assoluto: Sylvie Goulard, già deputata europea, ministra della Difesa francese, vicegovernatrice della Banca di Francia e, soprattutto, tra i dirigenti di En Marche! più ascoltati da Emmanuel Macron.

La candidata d’Oltralpe, come i suoi “colleghi” danubiani, è caduta su una vecchia vicenda legata a consulenze non troppo chiare; nulla di drammatico che ‒ in una fase politica diversa ‒ probabilmente si sarebbe risolto con qualche rassicurazione ed eventualmente la rinuncia a qualsiasi incarico esterno. Bruxelles però non è più quella di una volta e, soprattutto, il Parlamento europeo non somiglia per nulla a quello che Sylvie Goulard aveva imparato a conoscere (e dominare) nei primi anni Duemila. L’assemblea presieduta da David Sassoli ha una composizione molto più variegata rispetto al passato e, soprattutto, ha visto un indebolimento delle due colonne portanti storiche che, da sole, erano spesso in grado di garantire una maggioranza solida: il Partito socialista europeo e la sua controparte Popolare. Oggi, con l’ascesa di forze innovative come i Verdi tedeschi, il Movimento 5 stelle, la Lega o En Marche!, la composizione dei voti si è fatta molto più complessa, come un’equazione che ‒ improvvisamente ‒ non può essere risolta con le formule di primo grado, ma richiede gli algoritmi cubici. Peraltro, il Parlamento europeo ‒ andando a leggersi i Trattati ‒ possiede pochissimi poteri effettivi, ma quasi tutti si concentrano proprio nella fase iniziale della legislatura e, dunque, ci tiene tantissimo a esercitarli nella maniera più ampia possibile.

Per questo motivo le bocciature dei potenziali commissari non vanno lette tanto nel quadro di un maggiore o minore apprezzamento per questo o quel candidato, ma come passaggi politici di uno scontro più generale tra il Parlamento e i governi nazionali. Non è un mistero, infatti, che gli eurodeputati non hanno apprezzato per nulla l’esclusione degli Spitzenkandidaten dalla rosa dei successori papabili di Jean-Claude Juncker, l’intero emiciclo di Strasburgo, dunque, ha deciso (per una volta senza grandi disaccordi interni) di rendere la vita difficilissima alla sua controparte composta dai capi di Stato e di governo con, in particolare, il mirino puntato proprio su Emmanuel Macron e Angela Merkel, considerati i due grandi architetti dell’operazione von der Leyen. Così, dopo aver concesso alla pupilla della cancelliera una maggioranza risicatissima (appena quattordici voti di scarto), gli eurodeputati hanno deciso di punire con ancora maggior forza il presidente francese colpevole, tra le altre cose, di aver illuso gli euroentusiasti con le sue dichiarazioni forse un po’ troppo ambiziose riguardo un futuro “federale” per l’Unione Europea.

Dopo la bocciatura di Sylvie Goulard, l’Eliseo però non si è dato per vinto: anziché cercare un eventuale appeasement con Strasburgo, a Parigi hanno ritenuto di rilanciare, proponendo come sostituto Thierry Breton, già ministro una decina di anni fa e, oggi, amministratore delegato di Atos SE, una società nota al grande pubblico per essere uno dei principali gestori di carte di credito in Francia e Benelux, ma con vasti interessi anche nei big data e nella sicurezza informatica. Calcolando che al futuro commissario francese, chiunque sarà, spetta il portafoglio legato al digitale, alla difesa e al mercato interno, appare già chiarissimo che pure Breton ‒ nonostante la sua straordinaria esperienza professionale ‒ rischia uno scrutinio ancora più profondo di quello subito dalla sua ex collega.

Ora la palla è tornata nel campo del Parlamento europeo: se l’assemblea deciderà di bocciare nuovamente il candidato francese potrebbe aprirsi una crisi non indifferente, capace di mettere in discussione addirittura la stessa von der Leyen nonché l’accordo tra popolari, socialisti e liberali che garantisce un minimo di governabilità alle commissioni parlamentari.

Le Cronache dal Mondo nuovo sono appena cominciate.

Immagine: Ursula von der Leyen ed Emmanuel Macron, Parigi, Francia (14 ottobre 2019). Crediti: Frederic Legrand - COMEO / Shutterstock.com

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