Intervista a Daniele Brombal*

Che idea si è fatto di quanto sta accadendo in Cina?

Quella di una situazione emergenziale destinata a lasciare un segno profondo sul piano sanitario, sociale e politico.

Come valuta la risposta di Pechino? Cosa è cambiato rispetto all’epidemia di SARS?

La risposta delle autorità cinesi non è stata tempestiva. Dall’insorgere dei primi fondati dubbi circa la presenza di un nuovo virus sconosciuto all’adozione dei primi provvedimenti sono trascorsi giorni durante i quali, anziché preoccuparsi di comprendere a fondo la situazione, le autorità hanno messo sotto accusa i medici che per primi avevano lanciato l’allarme. Le conseguenze di questa omissione sono state rese più gravi dal fatto che è perdurata sino a pochi giorni dal capodanno cinese, quando molti cittadini di Wuhan si erano già messi in viaggio. Detto questo, la risposta è stata assai più tempestiva rispetto all’epidemia di SARS. Inoltre, ha avuto un’origine interna. La SARS fu occultata per mesi, durante i quali le autorità cinesi furono molto reticenti nel condividere informazioni con l’esterno. L’allarme vero e proprio fu lanciato solo dopo che il compianto Carlo Urbani – medico italiano dell’OMS – isolò il virus in Vietnam.

Come sta reagendo a questa emergenza il sistema sanitario cinese? Si ravvisano punti deboli?

Epidemie di questo tipo metterebbero in luce le debolezze di qualsiasi sistema sanitario. Il sistema cinese è oggi più preparato di quanto non fosse 17 anni fa, ai tempi della SARS. Tuttavia, due elementi di criticità emergono chiaramente: la carenza dell’assistenza sanitaria di base e quella dei sistemi di monitoraggio delle malattie. Quest’ultimo aspetto è legato anche a un contesto più ampio, che esula da quello sanitario. Nei giorni scorsi circolava sui social media un meme in cui Xi Jinping annunciava di aver trovato una facile cura per il virus, ovvero vietare di parlarne. Questo può far sorridere e allevia la tensione dopo tanti giorni di crisi. Tuttavia è indicativo di un problema: non dimentichiamo che i primi medici a denunciare la presenza di una ‘nuova SARS’ sono stati accusati di diffondere notizie false. Equiparare le prime evidenze dell’insorgere di una nuova malattia a una minaccia per lo Stato e il Partito non può che avere conseguenze nefaste, oggi e in futuro.

L’insorgenza dell’epidemia di Coronavirus (2019-nCoV) è stata comparata da alcuni a un “cigno nero”, ossia un evento inaspettato carico di conseguenze. Si tratta realmente di un evento inatteso?

No, non è inaspettato. Per tre ragioni. La prima risiede nel tipo di virus e nelle modalità di trasmissione all’uomo. I Coronavirus sono presenti in molte specie animali e occasionalmente, evolvendosi, possono passare agli esseri umani e divenire trasmissibili fra questi. Ciò può avvenire – come è lecito aspettarsi – in condizioni di grande promiscuità fra animali ed esseri umani, come nel caso dei mercati, comuni in tante zone della Cina. La seconda ragione rimanda alle carenze del sistema sanitario di base, che se sviluppato permetterebbe una prevenzione delle malattie trasmissibili e una loro presa in carico più efficace. Terza, le restrizioni all’informazione che ancora permangono. Assieme, questi tre ingredienti sono una buona ricetta per una crisi.

Nel volume Curarsi è difficile. Curarsi è costoso. Storia, politica e istituzioni della sanità cinese 1978-2013_, viene analizzata, tra le altre cose, la relazione che sussiste fra autorità centrali e periferiche. In questa nuova crisi sono riscontrabili “dinamiche conflittuali” tra centro e periferia?_

Nel mio libro parlavo di una riforma della sanità che avrebbe comportato una forte ristrutturazione del sistema di finanziamento, specie degli schemi assicurativi. In una situazione di forte decentralizzazione come quella della sanità cinese, le autorità locali erano comprensibilmente preoccupate delle coperture finanziarie. Nel caso del Coronavirus, non sussistono questi elementi. Detto ciò, nelle autorità cinesi locali spesso vi è la tendenza a privilegiare interessi locali e particolaristici rispetto a quelli generali, secondo dinamiche note anche altrove (Italia compresa). Talvolta ciò può comportare una maggiore opacità nella trasmissione al centro di informazioni di interesse generale. In una certa misura, è possibile che ciò sia accaduto anche nel caso dell’epidemia di Coronavirus, anche se non ne abbiamo certezza assoluta.

L’intera nazione cinese sembra essersi unita in un unico sforzo collettivo di fronte all’emergenza. Quali dinamiche sociali entrano in gioco in contesti emergenziali come questo?

La società cinese è in larga misura una società dei consumi di massa, dove per molti la sfera del desiderio ha soppiantato quella del bisogno. Tuttavia permane un retaggio culturale che attribuisce forte significato simbolico e identitario alla sofferenza come esperienza condivisa, comunitaria. Questo retaggio è ancorato ai valori tradizionali dell’etica comunista, che per quanto appannati continuano a essere proposti come virtù ideali dal discorso ufficiale. Ma è anche radicato nella travagliata storia cinese del secolo XX, che ha reso parte di quel popolo resiliente a privazioni e sofferenze estreme. Ho pensato a questo guardando il video girato in un quartiere di Wuhan, i cui residenti affacciati alle finestre urlavano nella notte ‘Forza Cina’ per rassicurarsi a vicenda. Non so in questa fase quanto sia rilevante il tema della mobilitazione strumentale.

Quali ricadute economiche produrrà l’epidemia di Coronavirus sulla Cina?

Non sono un economista e per me è quindi difficile stimare le ricadute. Del resto vi sono diverse posizioni in merito: le fonti cinesi sono (comprensibilmente) più rassicuranti e sottolineano come i danni saranno limitati al breve termine, mentre nel medio e lungo termine la crisi potrebbe addirittura essere elemento positivo per rafforzare la resilienza del sistema economico. Al contempo, gli osservatori occidentali sono più propensi a definire scenari negativi anche nel medio e lungo termine. Quello su cui tutti sembrano concordare è il fatto che l’impatto sull’economia globale sarà maggiore di quello della SARS: allora l’economia cinese e il suo rilievo erano molto minori di quanto non siano oggi.

Quali invece le ricadute geopolitiche?

Non mi sembra si possa parlare di ricadute del Coronavirus. Piuttosto, è ragionevole ritenere che la crisi possa essere utilizzata in maniera strumentale. Inoltre, può divenire – in certi casi sta già accadendo – punto di frizione fra Cina e altri Paesi sul fronte dell’informazione. Quello che è certo è che ha reso evidenti – qualora ve ne fosse ancora bisogno – la profonda ignoranza e la generalizzata xenofobia comuni in altri Paesi, Italia in primis.

L’attuale presidente cinese sta svolgendo il suo secondo mandato. Si può tracciare a grandi linee un bilancio delle politiche sanitarie formulate dall’amministrazione Xi-Li?

L’amministrazione Xi**-**Li ha ereditato da quella precedente (Hu-Wen) un ambizioso progetto di riforma sanitaria, mirato anzitutto a estendere la copertura assicurativa a tutta la popolazione. Avviato nel 2002-03 con la reintroduzione di schemi assicurativi per i residenti rurali, questo processo ha ricevuto nuovo impulso nel 2009, con un piano comprensivo di riforma. A 10 anni di distanza, il bilancio è ambivalente. Da un lato sono evidenti i progressi fatti nel garantire copertura assicurativa universale e nel ridurre la quota di spesa sanitaria finanziata direttamente dagli utenti (le cosiddette spese out-of-pocket). Dall’altro, rimangono fortissime disparità nei benefici assicurativi, specie fra residenti rurali e lavoratori urbani. Inoltre, nonostante il totale delle spese out-of-pocket sia ora ridotto, rimangono molto comuni i casi di spese “catastrofiche” sostenute direttamente dai pazienti, con conseguente rischio di impoverimento. In termini più generali, la grande attenzione riservata ai sistemi assicurativi per rimborsare le spese sostenute dai malati non si è accompagnata a una attenzione alla sanità di base. Il sistema dei medici di base in Cina è ancora fortemente sottofinanziato e carente in termini di formazione, come anche i servizi sociosanitari di prevenzione. Questi elementi potrebbero aver influito negativamente sulla crisi in corso.

Il Coronavirus e la sua gestione saranno certo impiegati in futuro per tracciare un bilancio complessivo della leadership Xi-Li. Hu e Wen godettero di sostegno pubblico anche grazie al modo in cui fecero pubblicamente ammenda della cattiva gestione della SARS e cercarono di porre rimedio alle drammatiche condizioni del sistema sanitario dell’epoca. Ci vorrà del tempo per capire le ricadute della crisi da Coronavirus sull’amministrazione attuale e sulla sua legittimità.

* Daniele Brombal insegna Lingua cinese, Società cinese contemporanea e Politica e società della Cina contemporanea presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia ed è autore di Curarsi è difficile. Curarsi è costoso. Storia, politica e istituzioni della sanità cinese 1978-2013, Aracne, 2015.

Immagine: Viaggiatori in metropolitana che indossano la mascherina per evitare il contagio da Coronavirus, Chongqing, Cina (23 gennaio 2020). Crediti: helloabc / Shutterstock.com

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