L’uscita del libro di John Bolton è stata una delle notizie principali di questi giorni. Il libro si intitola The Room Where It Happened, ed è un memoriale sui giorni che l’autore ha trascorso alla Casa Bianca in qualità di consigliere per la Sicurezza nazionale. Bolton fa parte di una ormai ampia schiera di membri dell’amministrazione che sono stati assunti e poi cacciati. Trump è già al quarto consigliere per la sicurezza in meno di quattro anni: George W. Bush ne ha avuti due in otto anni e Obama tre in otto anni, per limitarci agli ultimi predecessori del presidente in carica. E Trump era partito col piede sbagliato, visto che la prima scelta era stata Michael Flynn (coinvolto nel Russiagate, ha patteggiato la pena dopo aver ammesso di aver mentito al FBI sulle sue relazioni con i russi). Anche con Bolton non è andata come avrebbe dovuto.

Restiamo prima ai fatti. Bolton svolgeva il ruolo di National Security Advisor (NSA). Il suo era un ruolo chiave nell’amministrazione, poiché si tratta della figura ‒ interna all’Executive Office of the President, ovvero il cuore della gestione del potere esecutivo ‒ che consiglia il presidente sulla politica estera e di difesa. Una figura cruciale che in passato, per intenderci, è stata occupata da Henry Kissinger durante l’amministrazione Nixon, da Zbigniew Brzeziński con Jimmy Carter, Colin Powell con Ronald Reagan; e poi Brent Scowcroft, Condoleezza Rice, Susan Rice (una delle papabili candidate alla vicepresidenza con Joe Biden). Insomma, è una figura chiave, che aiuta il presidente a pensare il mondo e ha fare scelte politiche decisive. Passa molto tempo col presidente; solitamente è una figura con la quale è necessario instaurare un rapporto di grande fiducia (visto le scelte che affrontano insieme); ascolta e vede tantissime cose. Quello che Bolton ha ascoltato nei suoi 520 giorni da National Security Advisor ‒ fra il 9 aprile 2018 e il 10 settembre 2019 ‒ lo ritrovate nel suo libro. O meglio, trovate la versione di Bolton, che la Casa Bianca non voleva fosse resa pubblica, visto che ha tentato di bloccarne l’uscita perché violerebbe il segreto di Stato.

Che cosa dice Bolton? Intanto ricordiamo che Bolton ‒ arrivato con fama meritata di falco, più o meno in contemporanea con un altro falco, il segretario di Stato Mike Pompeo (ex direttore della CIA) ‒ pareva incarnare due idee di politica estera: una grande sfiducia nelle istituzioni internazionali, che sconfina nel disprezzo, condivisa con Trump; una maggiore assertività nel gestire i dossier internazionali (Bolton è ossessionato dal confronto con l’Iran, ed aveva criticato con grande vigore la politica di apertura verso Teheran dell’amministrazione Obama). Bolton e Pompeo dovevano rappresentare un cambio di passo dell’amministrazione americana, che doveva farsi ancora più assertiva. Partendo da questa immagine di “duro”, la notizia che Bolton ha voluto raccontare per prima a proposito del suo presidente è che Trump non sia affatto duro con la Cina, anzi. Le prime indiscrezioni che sono state fatte trapelare narrano di richieste verso la Cina piuttosto inusuali: secondo Bolton, Trump avrebbe pregato Xi di acquistare più prodotti agricoli dagli Stati Uniti, in modo da favorirlo nella sua rielezione negli Stati rurali, che pativano economicamente la guerra commerciale con la Cina. Fatto poi accaduto, anche se non sappiamo davvero se per via di questa pressione. Le anticipazioni del volume raccontano una escalation di debolezze, incongruenze, scelte casuali (in realtà il linguaggio è molto più duro) che avrebbero caratterizzato la politica estera di Trump, fino all’intervista all’Abc nella quale Bolton giudica Trump inadeguato al ruolo (“unfit”). L’unica ossessione di Trump sarebbero i suoi affari e la sua rielezione. Come ha reagito Trump? Alla sua maniera: con attacchi personali violentissimi a Bolton, ovviamente tramite Twitter (lo ha definito “sick puppy”).

Tutto questo ha attirato la simpatia dei democratici verso Bolton? Assolutamente no. A Bolton non si perdona di non aver voluto testimoniare sul caso ucraino nel processo di impeachment: i democratici sono rimasti freddi rispetto alle indiscrezioni di Bolton, se non addirittura ostili (se sapeva e vede il presidente così, perché non testimoniare contro di lui?). Ma in fondo Bolton è una figura davvero divisiva, che non riscuote grandi simpatie a nessuna latitudine. È considerato, forse in modo non del tutto appropriato, un neoconservatore, anche se non appartiene allo stesso identico milieu culturale: i neocon hanno una matrice più intellettuale che da uomini interni alla macchina di governo, sono stati in buona parte democratici se non estremisti di sinistra in altre epoche (Bolton appoggia i repubblicani dai tempi di Goldwater), hanno osteggiato l’ascesa di Trump: insomma, sul neopresidente Bolton si è allontanato dai suoi amici neocon e da una parte dell’American Enterprise Institute, il loro think tank di riferimento (nel quale Bolton ha lavorato).

Ma cosa vuole davvero Bolton? Era un piccolo kamikaze quando, per conto dell’amministrazione di George W. Bush, svolgeva il ruolo di ambasciatore all’ONU: era lì per dire ai suoi colleghi che quell’istituzione era inutile e dannosa per l’autonomia degli Stati Uniti (secondo Bolton, l’ONU «avrebbe dovuto avere un solo membro, gli Stati Uniti, dal momento che è questo il reale riflesso della distribuzione del potere a livello globale»); oggi è qui per tentare di far deragliare la rielezione di Trump. La rivista The Atlantic ha pubblicato un articolo dal titolo: Disprezzate pure Bolton, ma leggete comunque il suo libro. No, non è una persona che attira consensi: eppure potrebbe giocare una parte in questi mesi elettorali.

Immagine: John Bolton (22 febbraio 2018). Crediti: Gage Skidmore [Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)], attraverso www.flickr.com

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