Dal 7 giugno del 2010 la guerra in Afghanistan è da considerarsi la guerra più lunga nella storia degli Stati Uniti. Un giorno che segna centoquattro mesi dall'inizio della guerra, uno in più del Vietnam. Quattro anni dopo è giunta “l'ora di voltare pagina” e di portare “la guerra più lunga dell'America ad una conclusione responsabile”, da completarsi entro la fine del 2016 con il ritiro di tutto il personale militare in uniforme statunitense dall'Afghanistan.
Ad affermarlo è il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in un discorso tenuto il 27 maggio scorso al Rose Garden della Casa Bianca. Il presidente americano, in veste di comandante in capo delle forze armate, ha dettato tempi e modi del disimpegno militare da mettere in atto da qui a due anni. Delle 32.000 truppe statunitensi attualmente di stanza in Afghanistan, ne rimarranno 9.800 entro la fine di quest'anno. Un numero che verrà ulteriormente dimezzato entro la fine del 2015 per poi essere ridotto “fino ad un normale personale d'ambasciata a Kabul” entro la fine del 2016, così come già successo in Iraq – ha ricordato il presidente Obama – riducendo al massimo la presenza militare statunitense e lasciando che “il futuro dell'Afghanistan debba essere deciso dagli afghani”.
I 9.800 soldati americani che rimarranno in Afghanistan l'anno prossimo avranno a detta di Obama “due ristrette missioni”, ovvero “l'addestramento delle forze afghane e il supporto in operazioni antiterrorismo contro quel che resta di Al Qaeda”. Le operazioni di combattimento in cui sono coinvolti soldati americani saranno portate a termine entro la fine dell'anno e dall'inizio del 2015 – ha continuato il presidente – “gli afghani saranno pienamente responsabili della sicurezza del proprio Paese”, “non pattuglieremo più città, valli o montagne”, e il personale americano avrà un ruolo meramente di consulenza.
Tradotto, nel giro di due anni e mezzo personale diplomatico, delle agenzie governative e delle aziende che si occupano della ricostruzione dell'Afghanistan saranno sotto la sorveglianza e la tutela dell'esercito locale. Si tratta di quasi 300 diplomatici nella sola ambasciata degli Stati Uniti a Kabul, per non parlare delle centinaia di dipendenti delle 771 aziende americane coinvolte a vario titolo nei 1874 progetti appaltati fin qui dal Dipartimento di Stato. Un vero e proprio “surge civile” lo ha definito il Washington Post, un'invasione di delegazioni civili che si troveranno ad operare - senza la tutela militare avuta fin qui - in uno scenario dove si registrano quasi 3.000 civili uccisi nel 2013 – 7% in più rispetto all'anno precedente – e 5.656 feriti – 17 % in più rispetto al 2012 – e dove la polizia locale ha “deficit di competenze molto critici ed è costretta a subire ingenti perdite, fino a 400 al mese a causa dell'escalation di violenze”, si legge in un recente report della New America Foundation.
Sorge quindi un'altra questione, ed è quella dei rischi per chi rimarrà in Afghanistan anche dopo il 2016. Rischi che sono alti già adesso, basti pensare come nell'agosto del 2012 un dipendente dell'USAID, Ragaei Abdelfattah, sia stato ucciso in un attacco suicida nella provincia orientale di Konar. Mentre ad aprile del 2013, una diplomatica statunitense, Anne Smedinghoff, è stata uccisa nella capitale della provincia sudorientale di Zabul insieme ad altri due civili e tre soldati americani. E nei mesi scorsi al Washington Post James Cunningham - ambasciatore statunitense a Kabul - non ha nascosto come “in assenza del supporto militare non abbiamo modo di mantenere da soli la presenza nel territorio”.
Per capire in che modo e con quali mezzi sarà tutelata la presenza statunitense in Afghanistan, bisogna quindi scavare un po' più a fondo nei numeri, e tralasciare gli annunci di facciata andando a cercare chi può garantire sicurezza militare senza contraddire opinione pubblica ed alleati. In una parola, i contractor, ovvero l'esercito invisibile delle compagnie private. L'ultimo rapporto del Pentagono ci dice che ci sono 61.452 contractor sul libro paga degli Stati Uniti a supporto delle operazioni in Afghanistan, di cui 40.587 sono militari. Un numero che è superiore ai 32.000 soldati citati dal presidente Obama nel suo discorso al Rose Garden e che potrebbe crescere nei prossimi mesi.
Un vero e proprio esercito parallelo, dotato di mezzi aerei e di equipaggiamento all'avanguardia, tanto da operare anche a supporto delle operazioni speciali. “Dopo il ritiro militare, la nostra presenza diplomatica conterà ancora di più sulla sicurezza privata piuttosto che sui militari, in quanto il dipartimento di Stato e le altre agenzie civili non possono garantire la stessa struttura di sicurezza delle compagnie private”, ha scritto Philippe Carter su Foreign Policy.
Una presenza ingombrante quella dei contractor mai digerita dal presidente uscente Amid Karzai, che nel 2010 li definì “ladri di notte e terroristi di giorno”, e mise al bando l'attività delle compagnie militari private sul territorio afghano. Il decreto presidenziale numero 62 voluto da Karzai tentò di regolamentare la presenza dei contractor in Afghanistan attraverso la creazione di una nuova forza speciale di sicurezza governativa – la Afghan Public Protection Force (APPF) – posta sotto il controllo del ministero degli Interni ed aperta a tutti “i dipendenti delle compagnie private che vogliono unirsi all'esercito nazionale afghano”, si legge nel testo del decreto pubblicato da CNN.
Gli Stati Uniti hanno speso più di 51 milioni di dollari a supporto delle sole forze APPF, con un’erogazione di fondi che ha raggiunto il suo picco nel 2012 – con 34 milioni di dollari – ma che ha visto i fondi ridotti a zero nel 2013. E così il tentativo, seppur ambizioso, di rendere statale la fetta privata della sicurezza militare nel giro di quattro anni è fallito.
A confermarlo in esclusiva ad Altitude sono i dati forniti da Alexander Bronstein-Moffly, portavoce del SIGAR, l'ufficio di vigilanza del congresso americano che dal 2008 si occupa di monitorare la ricostruzione dell'Afghanistan. Gli ultimi dati in possesso del SIGAR ci dicono che ad oggi soltanto cinque FOBs – le basi operative avanzate – sono sotto il controllo del personale APPF, mentre altre 43 sono in mano alle compagnie militari private. Numeri che nel marzo scorso hanno convinto il presidente Karzai della necessità di una transizione dell'attività di sicurezza, con la decisione di accorpare il personale in servizio alla APPF – 22,727 secondo i dati dell'ultimo trimestre – al personale in forza al ministero degli Interni. Mentre per quanto riguarda la protezione dei siti dove operano aziende private, il ministero delle Finanze afgano sta lavorando per far sì che i privati possano tornare ad appaltare ancora una volta la propria sicurezza a compagnie militari private.
Numeri e dettagli che politicamente non fanno testo – il presidente Obama non ha mai pronunciato la parola “contractor” nel suo discorso di fine maggio – e su cui non si fa mai sufficiente chiarezza ma che rientrano in una strategia di appalto della sicurezza che per gli Stati Uniti è ormai una prassi consolidata. Come si legge in un altro report del SIGAR, “il Pentagono, il Dipartimento di Stato e l'USAID si affidano in Afghanistan alle compagnie militari private per la sicurezza del personale, dei siti e dei convogli in transito”. Per realizzare 29 progetti in Afghanistan tra il 2009 e il 2011 l'USAID – l'agenzia federale che si occupa di assistenza umanitaria – avrebbe ad esempio speso 300 milioni di dollari per la sicurezza, di cui almeno 140 milioni sono andati a compagnie private, scrive il SIGAR.
Un fenomeno non nuovo, scrivono gli ispettori del Congresso, “ma il modo e la misura in cui i contractor sono stati impiegati in Iraq e in Afghanistan è senza precedenti”. Già nel 2009 un report pubblicato dall'International Peace Research Institute di Oslo ha mostrato come gli Stati Uniti siano il paese con il maggior numero di contractor sul proprio libro paga. E un altro studio dell'Institute for National Strategic Studies ha contestualizzato l'evoluzione del fenomeno, affermando come se in Vietnam c'era un rapporto di un contractor ogni cinquantacinque soldati, in Afghanistan questo rapporto è diventato di tre contractor ogni due soldati americani.
È ragionevole quindi dedurre che per ogni aereo cargo con 200 militari americani a bordo che lascerà l'Afghanistan – come garantito dal presidente Obama – rimarranno 300 mercenari in uniforme senza ricami a stelle e strisce, ma al soldo degli Stati Uniti. L'assegno ogni mese continuerà ad arrivare dal dipartimento del Lavoro – e non dal Pentagono – così che si possano continuare a registrare eventuali vittime “off the books”, fuori dai registri ufficiali. E la guerra più lunga dell'America potrebbe così avere la sua conclusione responsabile. Almeno a parole.

Pubblicato in collaborazione con Altitude, magazine di Meridiani Relazioni internazionali