La condizione attuale dell’Unione Europea (UE) restituisce la diffusa percezione che questo progetto d’integrazione sovranazionale abbia perso appeal. È davvero così? Se si considerano due fatti esemplari degli ultimi giorni, a parte sondaggi e opinioni, la risposta non è ovvia.

Il primo fatto è accaduto in Macedonia, Paese candidato all’adesione da più di un decennio, laddove il Parlamento ha approvato la modifica costituzionale necessaria a cambiare il nome dello Stato dopo un’effimera vittoria referendaria. L’estenuante e grottesca disputa con la Grecia sul proprio nome, ostacolo insuperabile nel percorso macedone d’adesione all’Unione Europea, è stata decisa anche grazie al voto favorevole di otto deputati cosiddetti, inspiegabilmente, ‘nazionalisti’. Ciò sblocca una condizione di rischioso stallo, trasformandola in un’opportunità di slancio. Cosicché oggi, per la prima volta dopo quasi trent’anni, il conflitto greco-macedone presenta anche una soluzione, oltre che molteplici problemi. Se nulla accadrà di contrario, lo storico accordo raggiunto nel giugno scorso dal primo ministro macedone Zoran Zaev e dal primo ministro greco Alexis Tsipras, sostenuto dall’alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza dell’Unione Federica Mogherini, può diventare realtà. L’intesa prevede infatti di modificare il nome della Macedonia garantendo così la revoca del veto greco all’integrazione macedone nell’Unione. I posteri, a differenza dei distratti coevi, chiameranno queste tre persone ‘statisti europei’? Non lo sappiamo. Ciò che sappiamo è che senza il baricentro politico dell’Unione Europea, intesa come progetto e soggetto politico, quell’accordo politico semplicemente non ci sarebbe.

Il secondo fatto è accaduto a Londra, capitale di una delle principali potenze dell’Unione Europea, laddove centinaia di migliaia di persone, tra le quali vari parlamentari, hanno dato vita alla più grande manifestazione pro-Unione Europea nella storia dell’Unione stessa. Qui cambiano i protagonisti ma non la sostanza: l’epicentro della scossa politica riguarda l’Unione Europea e senza di essa non si darebbe. Invece di autorità politiche, la famigerata élite o casta, protagonista a Londra è stato il famoso ‘popolo’, la cui aggettivazione formale ‘populista’ ne ha ormai travolto ogni altro significato storico, a testimonianza di quanto lo Zeitgeist travolga anche la lucidità politica. Quelle persone – un numero incalcolabile per la Polizia metropolitana, forse 700.000 – erano lì non per chiedere un accordo ma per chiedere di ripensare l’idea di farne uno specifico, ossia quello che sancirebbe davvero l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. La logorante e patetica ‘Brexit’, parola tanto ridicola quanto inadeguata alla complessità del processo che dovrebbe significare, a partire dalle sue imponderabili conseguenze, ha suscitato l’attivismo nel ‘popolo’, cioè delle persone che non intendono affidare il destino britannico, e dunque gran parte del loro futuro, ad un referendum generato dal fallimentare gioco d’azzardo di James Cameron sull’Unione Europea.

In Italia, invece, i presunti nemici dell’Europa – ‘populisti’, appunto, cosiddetti per mancanza di categorie adeguate o per ostilità politica – sono oggi forze di governo e proprio in quanto tali hanno generato un processo apparentemente paradossale: le prossime elezioni europee saranno davvero europee, forse per la prima volta nella storia d’Italia. S’intende che questa volta non saranno il corollario di altre elezioni: locali, regionali, nazionali; il loro esito non sarà l’esito di un voto espresso col pensiero rivolto a problemi differenti, tutti più importanti di quello per il quale esse si svolgono: l’Europa e la definizione del suo Parlamento. Questa volta la questione europea non sarà il riflesso di altre questioni e il voto che si esprimerà riguarderà quella questione in primis, non altre. Perlomeno una volta – questa volta – le elezioni europee saranno finalmente una presa di posizione politica dei cittadini italiani sull’Unione Europea perché è questo il significato politico che esse hanno assunto ora, allorquando i ‘nemici’ dell’Europa sono diventati forze di governo in una delle potenze più importanti dell’Unione Europea.

La polemica categoria del nemico, qui citata, aiuta a capire se si segue il ragionamento del berbero Agostino d’Ippona. Scrisse nella Città di Dio (XIX, 12-13) che chi turba la pace «non vuole che non vi sia pace, ma che sia quale lui la vuole». La vittoria è la finalità immediata di chi combatte, ma la pace quella ultima: la pace, perciò, non ha nemici. Noi potremmo dire che chi turba l’Unione Europea non vuole che non vi sia ‘Europa’, ma che sia quale lui (o lei) la vuole. La vittoria è la finalità immediata, ma il potere quella ultima: l’Europa, perciò, non ha nemici. Semplicemente, chi fa politica da una posizione insoddisfatta dello status quo, da una posizione di dissenso, qual è quella delle forze di governo italiano in ambito europeo, reclama e lotta per il potere di decidere. A chi depreca e stigmatizza non resta che lottare da antagonista, se ne è capace, oppure, quantomeno, di votare. L’importanza di quel voto, oggi esaltata dai ‘nemici’ e dagli ‘amici’ dell’Europa, chiude così, almeno per ora, la polemica sul deficit democratico dell’Unione Europea proprio perché pone al centro dell’attenzione unanime il suo istituto democratico par excellence, il Parlamento. Se esso nulla contasse, se fosse ‘un contenitore vuoto’ come dicevano i ‘nemici’ dell’Europa, non si capirebbe l’enfasi posta sulle prossime elezioni europee. Cosicché l’Unione Europea è posta al centro del dibattito politico come centro d’interesse di tutti e ciascuno. È questo il vero segno valevole del tempo d’oggi.

Nel tanto esaltato ‘momento di maggior crisi del progetto europeo’ vi sono, certo, segnali contrastanti, come sempre accade nelle questioni politiche. Questo è ciò che permette a ciascuno di pensare e fare politica europea e così partecipare davvero, almeno col proprio voto, alla vicenda dell’Europa. Quella vicenda riguarda però un lungo percorso nella storia e tale percorso non è progressivo e non è regressivo: non è noto. È bene perciò, per chi intende esserne parte consapevole, sfuggire allo Zeitgeist, al meschino e squallido spirito che ci assicura sempre che noi, adesso, ci troviamo all’apice di grandi realizzazioni umane o di catastrofi senza paragoni, dimenticando che ogni fase politica si confronta con problemi d’urgenza soggettiva e acquisire prospettiva è una liberazione dello spirito. Non ci si può invece liberare dall’enigma della politica, da quell’incertezza che è la cifra del pericolo e delle possibilità. Comprenderlo significa trovare la verità della politica nella storia e sottrarsi alle effimere esperienze di amarezza e delusione da tanti immortalate; come nell’atto finale del Discepolo del diavolo di Bernard Shaw dove, di fronte alla vittoria dei patrioti americani sugli inglesi, il maggiore Swindon domanda: «Che dirà la storia, generale Burgoyne?»; e questi replica: «La storia, signore, come al solito dirà bugie».

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