L’allerta per l’epidemia di Coronavirus (2019-nCoV) è l’argomento più discusso e dibattuto dell’ultimo mese, soprattutto per la sua progressiva trasformazione da problema nazionale a emergenza globale. Il nostro Paese è salito agli onori della cronaca per essere quello più colpito a livello continentale, ma, pressappoco nello stesso arco temporale, non è stato l’unico a dover fronteggiare un’emergenza sanitaria. Dopo un primo periodo di apparente tranquillità e di presunto contenimento del virus, l’Asia orientale è tornata ad essere il fronte principale della questione con un nuovo protagonista: la Corea del Sud.

Nel momento in cui scriviamo, Seoul ha visto un’ulteriore impennata nei contagi arrivando a un totale di 5.621 casi (ma con un aumento di 600-800 casi al giorno), mentre il numero delle vittime è arrivato a 28. La Corea del Sud è seconda solo alla Cina per numero di contagi, ma il tasso di mortalità (circa lo 0,6%) è uno tra i più bassi a livello globale. Il primo caso accertato di Coronavirus è datato 20 gennaio, quando una cittadina cinese proveniente da Wuhan venne intercettata e isolata all’aeroporto internazionale di Incheon. Nel mese successivo non si è venuta a creare nessuna emergenza, con un numero di casi estremamente ridotto (circa 30) e una discreta sicurezza di essere riusciti a circoscrivere la propagazione del virus. La situazione ha iniziato a peggiorare nella seconda metà del mese di febbraio, e il vertiginoso aumento dei casi è stato pressoché inesorabile negli ultimi dieci giorni. Di conseguenza, il governo di Moon Jae-in ha progressivamente alzato il livello d’allerta sino a raggiungere il suo massimo, con la proclamazione del codice rosso del 23 febbraio. Tra le principali conseguenze socioeconomiche segnaliamo le due chiusure dello stabilimento, e dell’annesso campus, Samsung nel complesso di Gumi, focalizzato principalmente su produzione e ricerca & sviluppo in campo smartphone; il rinvio, a data da destinarsi, dell’inizio della stagione calcistica; la cancellazione della conferenza stampa di presentazione del nuovo album dei BTS, Map of the Soul: 7, dopo un trionfale lancio negli Stati Uniti.

Il numero di contagiati continua ad aumentare sebbene siano stati individuati due principali focolai: il primo a Daegu, quarta città del Paese con quasi due milioni e mezzo di abitanti, e il secondo nella vicina Cheongdo. Quello che viene ormai ritenuto il punto di partenza dell’epidemia sudcoreana è una delle tante sette cristiane presenti nel Paese, nello specifico la Shincheonji, Chiesa di Gesù, Tempio del Tabernacolo del Testimone. La congregazione, il cui nome sta ad indicare la prospettiva di un nuovo paradiso in terra, è stata fondata da Lee Man-hee nel 1984 e ha da allora accolto, secondo il suo leader, più di duecentomila adepti in tutto il mondo. Una dei fedeli di Daegu, una donna di 65 anni, è ritenuta il principale veicolo del virus nel Paese ed è comunemente indicata come “paziente 31”, come a voler indicare un prima e un dopo il suo contagio. Non è ancora chiaro come la donna abbia contratto il Coronavirus, ma è certo che ha preso parte ad eventi sociali particolarmente affollati sia a Daegu che a Seoul, tra cui due funzioni presso la sede locale della Shincheonji.

Secondo un comunicato ufficiale del governo sudcoreano, la donna sarebbe stata ricoverata il 7 febbraio in seguito a un incidente stradale, avrebbe sviluppato uno stato febbrile durante il ricovero e preso parte ad alcune funzioni religiose il 9 e il 16 dello stesso mese. Già il 15 febbraio i dottori hanno suggerito alla donna di sottoporsi al tampone di controllo, ma questa ha acconsentito solo il 18, risultando positiva. Nel mentre ha accompagnato un’amica ad un pranzo in hotel, entrando così in contatto con ancora più persone. Pochi giorni dopo il numero dei contagiati è iniziato ad aumentare in maniera esponenziale. Secondo il Korea Center for Desease Control and Prevention (KCDC) alle due funzioni incriminate avrebbero partecipato circa 9.000 persone, di cui più di 1.000 hanno mostrato sintomi influenzali e sono risultate positive al test. Conseguentemente, la Shincheonji di Daegu ha chiuso le porte e l’amministrazione cittadina ha preso tutte le misure necessarie per cercare di isolare il fenomeno. Purtroppo i dati non sono particolarmente incoraggianti e iniziano a presentarsi alcune criticità importanti, tra cui la scarsità di posti letto per i nuovi pazienti.

Dei circa 2.800 casi diagnosticati a Daegu, ne sono stati ospedalizzati poco più di 900. Gli altri sono stati posti in regime di quarantena domestica in attesa che si liberino dei posti negli ospedali cittadini. Le autorità sanitarie hanno deciso di dare priorità ai pazienti con il quadro clinico più serio, ma il costante aumento dei contagi non permette di fornire assistenza a tutti. In parziale risposta all’emergenza, il ministro della Salute Park Neung-hoo ha dichiarato che il governo avrebbe sistemato i pazienti con sintomi non gravi presso un edificio messo a disposizione dal ministero dell’Istruzione. Contemporaneamente è scoppiato anche il caso Shincheonji, accusata di non aver fornito dei registri completi e aver così rallentato le operazioni di controllo sui suoi adepti. Sarebbe inoltre emersa una significativa discrepanza – circa 540 individui – tra il numero di fedeli indicato dai registri e quello ottenuto attraverso le indagini e le visite mediche. Anche per questo motivo Kim Kyoung-soo, governatore del Gyeongsang Meridionale, ha reso noto che la regione ha intrapreso delle azioni legali contro la setta per violazione della legge sulla prevenzione delle malattie infettive. Nella giornata di lunedì Lee Man-hee si è presentato di fronte alle telecamere, inginocchiandosi e chiedendo ufficialmente perdono per non aver contribuito in maniera più decisa e per i problemi causati al Paese.

In conclusione, sebbene il repentino aumento di contagi sia da ricondurre principalmente al massiccio screening sui fedeli del Shincheonji e il tasso di mortalità rimanga molto basso, il governo sudcoreano si trova a fronteggiare una situazione particolarmente seria, che potrebbe portare in dote ulteriori problematiche extra sanitarie in caso di nuovi stop alla produzione industriale.

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