“Durante l'ultima settimana della Guerra del Golfo, si arresero centinaia di iracheni. Una delle immagini più inusuali ebbe luogo quando un Pioneer teleguidato sorvolava il campo di battaglia, osservando potenziali obiettivi. Cinque soldati iracheni sventolavano bandiere bianche verso la sua piccola telecamera. Fu la prima volta nella storia che l'uomo si arrese ad un robot”. L'immagine è del 1991, le parole sono dell'ex colonnello dell'aviazione statunitense James Coyne, ma la storia potrebbe presto tornare a ripetersi. La risposta degli Stati Uniti all'avanzata in Iraq delle milizie dell'ISIS – lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante – potrebbe difatti arrivare ancora una volta dall'utilizzo di aerei militari senza pilota.

La conferma è arrivata il 16 giugno scorso direttamente dal segretario di Stato John Kerry. Un attacco militare con droni “potrebbe essere un'opzione importante” - ha affermato il capo della diplomazia statunitense in un'intervista a Yahoo! News – per arginare l'avanzata dei ribelli sunniti dell'ISIS, aggiungendo come i droni “non siano l'unica soluzione, ma potrebbero essere una delle opzioni utili per fermare le milizie che si muovono in convogli scoperti e camion terrorizzando la popolazione”. Le parole di John Kerry sono state precedute da quelle del presidente Obama, pronunciate il 13 giugno scorso in conferenza stampa alla Casa Bianca: “Non manderemo truppe nuovamente a combattere in Iraq, ma ho chiesto al mio team di sicurezza nazionale di preparare un range di altre opzioni a supporto delle forze di sicurezza afghane”. Tra le “altre opzioni” a cui ha vagamente fatto cenno il presidente Obama, secondo il Washington Post – citando una fonte del governo anonima - ci sarebbero anche i droni e un programma di bombardamento mirato.
In realtà un programma di sorveglianza segreto operato da droni statunitensi in Iraq è attivo già da un anno. Negli ultimi mesi la frequenza di voli di perlustrazione da parte di aerei senza pilota è stata   continua, e l'escalation di violenze delle ultime settimane ha portato il Pentagono ad incrementare la sorveglianza sui cieli iracheni con missioni a cadenza giornaliera. “Negli ultimi mesi abbiamo volato a intermittenza sull'Iraq con missioni di intelligence, ricognizione e sorveglianza – ha confidato in forma anonima al Washington Times una fonte operativa del Pentagono – e negli ultimi giorni abbiamo iniziato ad aumentare frequenza e durata dei voli”. Ma si tratta di un programma che si è dimostrato – scrive il Wall Street Journal - “poco utile una volta che gli insorti hanno cominciato a muoversi rapidamente verso le città irachene”. Le fonti del WSJ non hanno specificato quali tipi di droni siano stati utilizzati, ma hanno confermato come i voli siano stati condotti “solo per scopi di sorveglianza e con il consenso del governo iracheno”, mentre la fonte del Wasghington Times ha confermato come il Pentagono “stia contemplando l'ipotesi di rimpiazzare i droni attualmente in uso con altri modelli con differenti abilità operative”. In altre parole, si pensa a dare una lucidata ai droni capaci non solo di spiare ma anche di bombardare.
Già nel dicembre scorso il governo iracheno aveva fatto esplicita richiesta di 10 droni ScanEagle, 75 missili Hellfire ed altro equipaggiamento militare, come riportato dalla CNN. E altri 14 miliardi di dollari sono stati spesi dagli Stati Uniti negli ultimi mesi in aiuti militari agli iracheni per elicotteri militari Apache, aerei da combattimento F-16 e fucili d'assalto M-16. Ma a maggio il governo iracheno avrebbe alzato la posta. “Gli iracheni vogliono di più, vogliono droni armati, come il Predator o il Reaper utilizzati per combattere Al Qaeda in Afghanistan, Pakistan e Yemen”, secondo quanto riportato dalla rivista americana Foreign Policy. “Abbiamo un potenziale più forte, ma adesso vogliamo un potenziale d'attacco”, è in sintesi la posizione degli iracheni secondo quanto confidato a Foreign Policy da un ufficiale iracheno. Nel dicembre scorso era arrivata una richiesta di droni armati da parte del ministro degli esteri iracheno Hoshyar Zebari, caduta nel vuoto in quanto una richiesta del genere per essere presa in considerazione dal governo statunitense – scrive il New York Times - deve arrivare direttamente dal primo ministro Nūrī Al-Mālikī. Pressioni che sarebbero poi state riproposte nel marzo scorso nel corso di altri incontri a Baghdad tra alti ufficiali iracheni e delegati statunitensi, per colpire con raid aerei le basi ISIS nel deserto di Jazira. Fino ad arrivare a maggio, come detto, con il primo ministro Al-Mālikī in persona a fare richiesta di droni armati al generale statunitense Lloyd J. Austin nel corso di un meeting dell'11 maggio scorso, così come riporta il Washington Post. Dopo questo incontro l'amministrazione Obama – come ammesso dal Presidente - “non esclude nulla”.
Ma in fondo per gli Stati Uniti adottare una strategia di bombardamento mirato con droni militari non sarebbe di certo una novità. Se il Pioneer era l'orgoglio di George H. Bush nel 1991, dall'11 settembre del 2001 in poi un report del Council of Foreign Relations ci dice il 95% dei bombardamenti mirati indirizzati verso obiettivi militari non dichiarati – in gergo militare nonbattlefield target - sono stati condotti da droni. In più lo stesso presidente Obama ha mostrato nel corso dei quattro anni del suo primo mandato una particolare inclinazione per l'utilizzo di aerei senza pilota, cinque volte di più di quanto fatto da George W. Bush in otto anni di presidenza. Tradotto, “se con Bush in Pakistan c'era un
Utilizzare droni armati in Iraq permetterebbe inoltre all'amministrazione Obama di continuare sulla linea dell'antiterrorismo a luci spente, combattendo una guerra economicamente e politicamente low-cost, senza dare la percezione di essere tornati in Iraq e mantenendo fede alla parola di una guerra conclusa – almeno sulla carta – nel 2011. Dall'altra parte il governo di Al-Mālikī potrebbe guadagnare credibilità politica riuscendo ad evitare una nuova invasione via terra degli americani. In mezzo però c'è il rischio di affidarsi a tecnologie intelligenti ma di certo non infallibili, e di subire i contraccolpi della propaganda ISIS in caso di vittime civili. Non proprio una possibilità remota, dato che secondo alcune stime per ogni terrorista ucciso un drone uccide dieci civili. Ma come sostiene il senatore Lindsay Graham, acceso ultrà delle politiche di Obama nel Medio Oriente e sostenitore dell'utilizzo dei droni, “qualche volta colpiamo persone innocenti, ed è una cosa che detesto, ma siamo in guerra, e abbiamo stanato alcuni dei più alti membri di al Qaeda in questo modo. Non stiamo combattendo un crimine, stiamo combattendo una guerra”. Anche stavolta, il fine giustificherà i mezzi.

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