Domenica la Spagna torna al voto per affrontare la terza tornata di elezioni politiche in meno di quattro anni, che porteranno al terzo governo in tre anni. La scorsa legislatura era cominciata nel 2016 con un Partito popolare in difficoltà, ma con Mariano Rajoy ancora in sella come primo ministro, sebbene con una maggioranza debole. Il susseguirsi di scandali legati alla corruzione aveva poi progressivamente eroso i suoi numeri in Parlamento fino alla spallata della sfiducia costruttiva, che ha portato Pedro Sánchez alla guida di un governo appoggiato da socialisti, Podemos e partiti regionali catalani e baschi.

Durante il periodo del governo Sánchez si è andata strutturando un’alleanza sempre più stretta tra i popolari, gli estremisti di Vox e Ciudadanos, che da forza del centro liberale si propone adesso agli elettori come uno dei tre soggetti di una possibile maggioranza di centrodestra. La formula non sarebbe peraltro inedita, dato che da qualche mese questa coalizione governa l’Andalusia, storica roccaforte rossa, dove si è manifestata la forte ascesa di Vox, che ha superato l’11% con una piattaforma antimmigrazione, antindipendentista e antifemminista.

Il PSOE (Partido Socialista Obrero Español), che ha perso il governo a causa del voto contrario dei partiti catalani su una legge di bilancio considerata da più parti la più a sinistra dallo scoppio della crisi, ha nel suo programma alcune priorità sociali che piacciono a buona parte dell’elettorato e promettono di attirare molti consensi. I socialisti si presentano infatti come favoriti per ottenere il maggior numero di seggi e diventate il partito di maggioranza relativa. Lo spostamento di Ciudadanos nello spettro dell’offerta politica con la linea “mai con Sánchez” favorisce una campagna elettorale aggressiva al centro, consentendo ai socialisti di giocare così su due fronti. Pedro Sánchez dovrebbe, quindi, ottenere un successo importante per il suo partito, ma forse insufficiente ad aggregare una maggioranza in Parlamento. Non è un caso, infatti, che nei dibattiti elettorali sia molto attento a evitare di discutere di alleanze, così da poter valutare più alchimie dopo il voto. La situazione politica spagnola sta infatti diventando più fluida che in passato: rispetto al tradizionale duopolio di popolari e socialisti il sistema politico si è, infatti, trasformato, e il filtro della legge elettorale (proporzionale con molte circoscrizioni e uno sbarramento sostanziale elevato) produrrà realisticamente un quadro più articolato con PSOE e Podemos a sinistra e Ciudadanos, PP (Partido Popular) e Vox a destra, lasciando poco spazio alle forze regionali e ad altri soggetti. Le trattative dopo le elezioni saranno complicate anche dall’imminenza delle elezioni europee e di un importante turno di amministrative, che si svolgeranno dopo un mese (26 maggio). Incerti equilibri parlamentari e complesse formule di alleanza appaiono l’esito più probabile che attende la Spagna, “salvo sorprese”.

La questione catalana resta grande protagonista nel dibattito pubblico spagnolo, perché polarizza le forze in campo ed è stata causa della caduta degli ultimi governi. È probabile che le urne consegneranno però un quadro complessivamente più rigido e ostile nei confronti delle istanze autonomistiche, oltre al fatto che ormai le forze catalane sono considerate inaffidabili dai partiti maggiori. Dato peculiare dello scenario politico spagnolo è invece la consacrazione della generazione dei quarantenni, che è trasversalmente alla guida delle formazioni politiche principali, andando dal più giovane Pablo Casado (PP, 37 anni), fino a Santiago Abascal (Vox, 43) e Pedro Sánchez (47) e passando per Pablo Iglesias (Podemos, 40) e Albert Rivera (Ciudadanos, 40).

Immagine: Manifesto di Pedro Sánchez  per le elezioni spagnole del 2019, Madrid, Spagna (12 aprile 2019). Crediti: Manuel Esteban / Shutterstock.com

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