L’economia mondiale è debole, stenta a ripartire e occorre pensare a un nuovo modo di stare e competere sui mercati internazionali. È questo l’allarme che lancia la Cepal, la Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America latina e i Caraibi, con due pubblicazioni, lo Studio economico 2012 e il Rapporto sull’export per il biennio 2011-2012 uscite a distanza di una settimana l’una dall’altra. La situazione è difficile e incerta: la ripresa nordamericana non si vede ancora e c’è incertezza sui prossimi passaggi politici; l’Europa vive una fase di recessione che rischia di aggravarsi con le politiche di rigore imposte dalla troika e la Cina sta rallentando produzione e ordini all’estero.
Negli ultimi 4 anni, la regione latinoamericana ha dovuto già far fronte a tre shock esogeni: nel 2008 l’aumento dei prezzi degli alimenti e dei combustibili che ha causato tensioni sociali (la crisi delle tortillas in Messico ne è stata la declinazione latina più nota) e che rappresenta un pericolo ancora incombente, come ci segnala l’indice dei prezzi della Fao (http://www.fao.org/worldfoodsituation/wfs-home/foodpricesindex/en/ ). A questa perturbazione è seguita la fase più acuta della crisi finanziaria ed economica tra il settembre del 2008 e la fine del 2009 e, ultimo dato in ordine di tempo, permane il clima d’incertezza sulle prospettive economiche globali in una fase in cui, almeno dalla fine del 2011, i Paesi più sviluppati non riescono a superare la contrazione della domanda aggregata. Le politiche messe in atto dai governi latinoamericani in ciascuna di queste tre fasi sono state caratterizzate dall’adozione di misure anticicliche: in particolare, per far fronte a possibili tensioni inflazionistiche dovute all’aumento dei prezzi delle materie prime, sono state adottate politiche monetarie restrittive e di rivalutazione del tasso di cambio. Si è superata, poi, la fase più acuta della crisi finanziaria con un aumento della liquidità, con la riduzione dei tassi d’interesse per aumentare la base monetaria e, a livello di politiche industriali e del lavoro, con sussidi, aumento del salario minimo, programmi di formazione e offerta di lavoro a tempo determinato. Infine, per reagire alla fase d’incertezza e di contrazione della crescita globale si è puntato a non deprimere il consumo interno e a proteggere il settore industriale dei singoli paesi con misure d’incentivo all’acquisto (è noto il caso del settore automotive in Brasile e che ha riguardato anche Fiat) o di sgravi fiscali alla produzione.
L’adozione di queste ricette anticicliche ha consentito alla regione latinoamericana di non deprimere eccessivamente la crescita, nonostante già dal secondo semestre del 2011 il ritmo degli anni precedenti abbia lasciato il passo a volumi più modesti. La situazione si è ripetuta nel primo semestre 2012 con la conseguenza che il prodotto interno lordo stimato per il continente nel 2012 sarà del 3,2% (è stato 4,3% nel 2011) e non del 3,7%, come annunciato qualche mese fa. La revisione delle previsioni di crescita ha destato attenzione anche perché a subire la contrazione maggiore sono e saranno i grandi Paesi, le “locomotive” del continente, in primis Brasile e Argentina. Per quanto riguarda le proiezioni per il 2013, se è ovvio il peso del contesto internazionale, è anche vero che, come sottolinea la Cepal, sarà altrettanto cruciale la capacità di risposta del continente a uno scenario globale negativo. A tale riguardo, diventa paradossalmente un punto di forza per l’intera regione l’esperienza accumulata nel corso delle tante crisi che l’hanno attraversata o che hanno avuto origine nei suoi singoli Paesi (come in Messico nel 1982 e in Argentina nel 2001, per ricordare i casi più noti). A differenza del passato, infatti, la maggior parte dei paesi latinoamericani ha finora potuto reagire con politiche che hanno consentito di mantenere stabile il tasso di disoccupazione, intorno al 6,8% nel primo semestre 2012 (la media regionale su base annua dovrebbe essere del 6,5%). Grazie a questo e al miglioramento del salario minimo, la domanda aggregata si sta mantenendo stabile e i consumi interni crescono, anche se i loro volumi compensano solo in parte la contrazione che sta avvenendo nei paesi sviluppati (non è un caso che la bilancia dei pagamenti regionale mostrerà probabilmente un deficit intorno all’1,9% del Pil per l’anno in corso).
Per arrivare alle singole sub-regioni, lo Studio della Cepal evidenzia come la maggior parte dei paesi sudamericani e centroamericani, oltre al Messico, manterranno un livello di crescita simile a quello avuto nel 2011 con Bolivia, Cile, Costa Rica, Nicaragua e Venezuela al 5%, Colombia ed Ecuador al 4,5% e Perù al 5,9%. Argentina e Brasile, invece, si attesteranno rispettivamente sul 2% e l’1,6%. Scomponendo i dati del PIL ponderato della regione, i Paesi dei caraibi sono quelli che hanno sofferto e continuano a soffrire una contrazione economica: la loro crescita si attesterà su un modesto 1,6%. Sotto la media anche i valori dell’area del sud, con un tasso aggregato previsto per il 2012 del 2,8%. In controtendenza, invece, il centroamerica che registra un dato aggregato del 4,4% con l’exploit di Panama (+9,5%). Questa tendenza generale a una lieve contrazione dovrebbe confermarsi anche per il 2013 e riguardare ancora i paesi sudamericani che più dipendono dall’export di prodotti primari verso la Cina. Grazie al turismo, previsto in crescita per il 2013, i paesi dei caraibi dovrebbero al contrario migliorare le loro performance. Per Brasile e Argentina si dovrebbe però assistere a un recupero nel 2013, cosa che fa prevedere, a livello aggregato, un dato latinoamericano vicino al 4%.
Di fronte a questo scenario complesso e articolato, lo Studio Cepal evidenzia come il buon accesso al mercato finanziario internazionale e le riserve monetarie in aumento per l’intera regione, uniti a un miglioramento dei risultati fiscali e alla bassa inflazione - che sta consentendo una riduzione seppur modesta dei tassi di interesse - creino un clima di relativa tranquillità nel caso in cui la situazione europea, cinese o statunitensi dovessero peggiorare. Va dato merito ai governi della regione se l’America latina, forse per la prima volta nella sua storia, ha affrontato la fase di crisi globale con i fondamentali macroeconomici sotto controllo. Ma non è sufficiente. Per consolidare i risultati ottenuti e poter giocare un ruolo di global player sarà necessario attivare più efficaci processi di integrazione fiscale e monetaria così come di coordinamento produttivo e industriale. In questo senso, i massici investimenti in tecnologia, innovazione, istruzione e formazione messi in atto da alcuni presidenti, come Dilma Rousseff in Brasile – e che ci auguriamo siano “copiati” da altri leader politici - vanno addirittura oltre e candidano il continente a un ruolo strategico per la fase post crisi. Le condizioni economiche, lo abbiamo visto, lo consentono. Resta da vedere se la politica saprà fare la sua parte.