Ormai lo abbiamo capito, papa Francesco non ha bisogno di esegeti. I suoi discorsi sono chiari e spesso duri e volutamente contundenti. Eppure, solo apparentemente possono sembrare discorsi «semplici». Si prenda, per esempio, l’ultimo discorso ai movimenti popolari tenuto in Vaticano lo scorso 5 novembre. I media hanno dato giustamente molta rilevanza alle parole rivolte ai governi di tutti i paesi in materia di migrazioni, muri e respingimenti. Tuttavia, da una lettura più attenta e contestualizzata nel disegno di questo «papa gesuita» emerge davvero molto di più.
In primo luogo va tenuto presente che quello di novembre è stato il terzo tassello di un unico «discorso» avviato il 28 ottobre 2014, data del primo incontro romano con i movimenti popolari. In quell’occasione Bergoglio aveva gettato le basi della sua pastorale sociopolitica riprendendo molti degli elementi maturati negli anni da primate della Chiesa argentina e figli della sua esperienza nella Compagnia di Gesù e nel CELAM (si veda, tra gli altri, il «Documento di Aparecida» redatto nel 2007 con il contributo decisivo di Bergoglio). Il framework teorico della «teologia del Popolo» argentina (Lucio Gera, Juan Carlos Scannone ecc.) veniva messo a confronto con le parole d’ordine e con la prassi dei cartoneros, dei Sem Terra e degli altri movimenti popolari internazionali riuniti per la prima volta in assemblea in Vaticano.
L’impatto dell’incontro tra il centro della cattolicità e le periferie del mondo rurale e industriale era stato notevole, proiettando i riflettori sul papa venuto «dalla fine del mondo». I primi risultati furono resi pubblici l’anno seguente, questa volta in terra boliviana (II incontro mondiale dei Movimenti popolari, Santa Cruz, 9 luglio 2015). Al centro di quel discorso c’erano nuovamente le tre T – tierra, techo e trabaco – particolarmente care a tutti i convenuti, ma era possibile scorgere i passi avanti fatti nell’elaborazione di una piattaforma teorico-politica che aveva tra i suoi referenti istituzionali i presidenti Morales e José Mujica. La presenza a Roma del presidente uruguaiano ha contribuito a dare ulteriore continuità con il terzo e ultimo incontro di novembre.
Per certi aspetti, si è trattato del discorso più forte mai pronunciato da papa Bergoglio.  A valle della lunga discussione che ha accompagnato l’enciclica Laudato si' e dei numerosi pronunciamenti sulle emergenze migratorie, Francesco ha voluto dare una traduzione politica al percorso di riflessione con i movimenti, da lui identificati come i veri «seminatori di un cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo». Il «progetto-ponte» per il futuro si muove sui binari delle 3-T e dell’«ecologia integrale», entrambi oggetto del lavoro teorico che ha anticipato l’incontro, e si propone tre macro-obiettivi: mettere l’economia a servizio dei popoli, costruire la pace e la giustizia (laddove senza la seconda neppure la prima è possibile), difendere la «Madre Terra».
L’ostacolo principale – ha spiegato il papa – viene dal sistema economico globale, quell’ordoliberismo che Francesco chiama genericamente «il sistema del denaro» e a cui imputa, specificamente, di essere la ragione delle crisi mondiali e delle diverse forme di terrorismo (narcos, terrorismo di Stato e terrorismo e «quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso»). Per Francesco, lo stato d’eccezione è diventato condizione necessaria del governo mondiale e tra i passaggi più rilevanti sono da menzionare le parole con le quali ha descritto la duplice funzione oppressiva dei muri, con i quali i governi intendono «rinchiudere alcuni ed esiliare gli altri».
Da ultimo, ha esortato i movimenti a non farsi confinare nella casella tollerata delle “politiche sociali”: «concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli». In altre parole, Francesco ha chiesto ai movimenti di «entrare nella Politica con la maiuscola», di costituirsi come soggetto politico per «mettere in discussione le “macrorelazioni”».
È difficile immaginare quale sarà l’esito di questo progetto costituente, ma senza dubbio il pontificato di Bergoglio punta davvero in alto, alla ricerca di nuove forme che vadano oltre la forma partito, investendo sul popolo come fattore di rinnovamento dal basso della democrazia mondiale.