Se gli Stati Uniti stanno cercando di sminuire il significato politico della partecipazione di massa, in Iraq e in Iran, alle esequie di Qasem Soleimani, e di non enfatizzare in generale la reazione di tutto il Medio Oriente all’uccisione del generale iraniano, molti segnali portano invece a pensare che l’azione effettuata nella notte tra il 2 e il 3 gennaio a Baghdad stia avendo un effetto di ricomposizione delle diverse realtà presenti nella società iraniana, che rischia di favorire l’ala tradizionalista e oltranzista; inoltre, sembra sia in corso un riavvicinamento, almeno emotivo, delle popolazioni irachena e iraniana che superi le notevoli contraddizioni storiche e geopolitiche. La presenza di un movimento di ispirazione sunnita come Hamas a Teheran in questi giorni fa inoltre intendere che il fronte ostile agli Stati Uniti che si sta formando sia piuttosto ampio.

È difficile pensare che Donald Trump e i suoi consiglieri abbiano sottovalutato la portata reale e simbolica dell’obiettivo che hanno colpito e quindi si deve ritenere che una reazione forte fosse nelle loro aspettative; il generale iraniano Qasem Soleimani ucciso a Baghdad era il comandante della Forza Quds, un’unità speciale delle guardie della rivoluzione islamica (pasdaran), che si occupava delle operazioni all’estero. Un personaggio molto amato in patria, dove veniva chiamato il “martire vivente” e conosciuto e stimato in tutto il Medio Oriente.

A lui sono state dedicate quattro giornate di cerimonie funebri; a Baghdad migliaia di iracheni hanno seguito sabato 4 gennaio nei pressi del santuario sciita, nel distretto di Kazimiya, il feretro del generale iraniano e di Abu Mahdi al-Mohandes, morto anche lui nell’attacco. Era il vicecomandante delle PMU (Popular Mobilization Units) che fanno parte dell’esercito iracheno, ma sono sostenute dall’Iran. Il 5 gennaio in Iran una grande folla ha reso omaggio alla salma di Soleimani nelle città sante di Ahvaz e di Mashhad; la manifestazione più imponente si è svolta però a Teheran lunedì 6 gennaio alla presenza di milioni di persone e delle massime autorità tra cui la guida suprema Ali Khamenei, molto commosso, il presidente Hassan Rohani e il successore di Soleimani, Esmail Ghaani. La figlia del generale, Zeinab, ha profetizzato giorni bui per gli Stati Uniti e Israele. E rivolgendosi direttamente al presidente americano ha esclamato «Pazzo Trump, non pensare che tutto sia finito con il martirio di mio padre». Le celebrazioni culmineranno martedì 7 con la sepoltura a Kerman, la città natale di Soleimani.

È difficile capire quale sarà la risposta dell’Iran, ma alle minacce di Trump, che alludevano anche a siti culturali iraniani in caso di azioni armate contro gli Stati Uniti, le autorità della Repubblica islamica hanno risposto facendo intendere che sarà colpito l’esercito americano. Il fine ultimo, e l’unica vera vendetta, è cacciare le forze militari degli Stati Uniti dal Medio Oriente. Le forze dei contendenti sono molto diseguali, ma il confronto è anche politico. Il voto del Parlamento iracheno che sollecita la fine della presenza di forze militari straniere in patria rappresenta una delle prime conseguenze dell’escalation che può essere innescata dal blitz degli Stati Uniti in territorio iracheno.

Immagine: Qasem Soleimani (27 marzo 2015). Crediti: http://farsi.khamenei.ir/photo-album?id=29307#i [CC BY (https://creativecommons.org/licenses/by/4.0)], attraverso commons.wikimedia.org

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