Circa 14 milioni di cileni sono stati chiamati alle urne per decidere al ballottaggio chi sarebbe stato il settimo presidente della Repubblica del Cile dopo la fine della dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990). Sebastián Piñera, candidato del partito Chile Vamos e rappresentante del centrodestra ha prevalso con il 54,57% dei voti, e governerà il Paese durante i prossimi quattro anni. Il mandato inizierà il prossimo 11 marzo, quando scadrà ufficialmente quello della presidente di centrosinistra Michelle Bachelet. A contendergli la presidenza c’era Alejandro Guillier, esponente indipendente della socialdemocrazia e considerato da una parte dei cileni come la speranza di continuare il mandato di Bachelet, che ha ottenuto però ieri solo il 45,43% dei voti.

Sebastián Piñera, che sperava di vincere già al primo turno dello scorso 19 novembre, quando ha ottenuto il 36,6% dei voti, è stato in realtà penalizzato da una sinistra rafforzata sia da Guillier che dal Frente Amplio, una coalizione di sinistra che pone l’accento sulle riforme sociali e che, contro tutti i pronostici, ha raggiunto più del 20% dei voti rispetto al 22,6% ottenuto da Guillier. In questo contesto politico, le ultime settimane della campagna elettorale sono state caratterizzate da un intenso confronto tra i due candidati, che hanno dovuto perfino modificare il proprio programma per intercettare i voti di altri partiti affini. In questi giorni Guillier ha contato sul supporto dell’ex presidente uruguayano José Mujica, la figura più influente della sinistra latinoamericana, mentre Piñera è stato sostenuto dal presidente argentino Mauricio Macri, che ha descritto il prossimo presidente cileno come un “ottimo amico” e un “grande leader”.

La giornata elettorale di ieri si è conclusa con un’affluenza alle urne del 48%. Da quando è stato eliminato il voto obbligatorio, sei anni fa, il Cile ha avuto una delle partecipazioni elettorali più basse del mondo, sempre al di sotto del 50%. Questa volta non è stata diversa dalle altre e, come avevano previsto i sondaggi, l’affluenza è stata pari a quella del primo turno, quando ha raggiunto il 46%. I risultati dimostrano che Guillier non è stato capace di affascinare sufficientemente la sinistra del Frente Amplio, dato che i loro elettori erano quelli che avrebbero dovuto marcare la differenza. Da parte sua, Piñera ha saputo accontentare invece una destra fortemente unita e molto insoddisfatta dopo i quattro anni di un mandato di centrosinistra caratterizzato da forti riforme sociali e da un ristagno della crescita economica.

Così Sebastián Piñera, famoso per essere stato il primo presidente cileno di destra scelto democraticamente, nel 2010, dopo la fine della dittatura militare, torna a La Moneda con quella che, secondo lui, sarà la legislatura del cambiamento e della ripresa economica. Durante la campagna elettorale ha promesso di essere il presidente «del cambiamento, del progresso, del futuro e della speranza»; per giunta, ha ripetuto in diverse occasioni che il suo obiettivo principale sarà quello di creare «tanti ed ottimi posti di lavoro, con buoni stipendi e rafforzando la stabilità lavorativa». Piñera ha sempre dichiarato di avere due passioni: la politica e il business. Non è mai stato una figura della destra tradizionale cilena, storicamente molto più conservatrice, ed è per quello che ancora oggi nel suo partito c’è chi lo guarda con un po’ di diffidenza.

I principali cambiamenti promessi dal leader cileno si concentrano sull’economia, sul tentativo di favorire gli investimenti e il risparmio, migliorare le pensioni e combattere radicalmente la delinquenza, il narcotraffico e la povertà. Nell’ambito dell’educazione, Chile Vamos, dopo i risultati sfavorevoli del primo turno, ha dato una svolta considerevole al suo programma verso un’istruzione gratuita, soprattutto a favore degli istituti tecnici. Nel dibattito elettorale che si è tenuto lo scorso 11 dicembre, di fronte alla domanda sull’accesso gratuito universale all’istruzione, Piñera ha dichiarato che «ciò che è gratis genera meno sforzo». Secondo lui lo Stato deve «dare priorità ad aiutare la classe media ed i settori più vulnerabili»; ma un’altra lettura di questa nuova riforma rivolta soltanto agli studi tecnici ritiene che il suo fine sia quello di perpetuare le differenze tra le classi sociali e salvaguardare l’accesso all’università solo per i ceti benestanti.

Per quanto riguarda la Sanità, in un Paese dove i diritti di base sono stati fortemente privatizzati dopo il colpo di Stato di Pinochet nel 1973 e continuano a esserlo tutt’oggi, Sebastián Piñera propone di modernizzare i servizi sanitari e soprattutto di combattere le irregolarità nell’accesso alle medicine, garantendo che tutte le farmacie abbiano a disposizione sia i medicamenti generici che quelli di marca, visto che la differenza tra i prezzi dei due può arrivare al 3000%. Un altro pilastro del programma di Piñera pretende di migliorare l’attuale sistema pensionistico privato, in un Paese dove la maggioranza dei pensionati vive in condizioni di povertà con poco meno di 190 € al mese. Inoltre, vuole che il trasporto pubblico sia gratuito per tutti i pensionati che si spostano per ragioni di salute. Un approccio limitato rispetto al programma di Guillier, per il quale la mobilità avrebbe dovuto essere gratuita per tutti i pensionati in qualsiasi situazione fossero.

Pertanto, nei prossimi quattro anni Cile vivrà una sterzata verso destra, con un governo proiettato verso la crescita economica e i valori liberali e cattolici. In questo contesto, molte delle riforme sociali volute da Michelle Bachelet, come la depenalizzazione dell’aborto in caso di stupro, rischio per la vita della madre o difetti congeniti del feto, così come le leggi favorevoli alle questioni LGBT, potrebbero essere a rischio. La società cilena, spinta da un certo senso di urgenza e impaurita dall’attuale governo, è andata a votare per riparare qualcosa che sta per rompersi e sembra che Piñera abbia saputo rappresentare i valori del ordine, della prudenza e, soprattutto, del benessere economico individuale a discapito dei diritti sociali fondamentali in un Paese fortemente diviso socialmente.

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