Il piano di pace per il Medio Oriente proposto da Donald Trump potrebbe rappresentare una svolta significativa nello scenario geopolitico globale oppure essere ricordato più per i suoi effetti propagandistici nelle campagne elettorali di Israele e Stati Uniti che per la sua efficacia nel trovare una soluzione politica ai conflitti. Il piano prevede la costituzione di uno Stato palestinese con capitale nell’area di Gerusalemme Est, il raddoppio dei territori controllati dai palestinesi, Gerusalemme capitale indivisa di Israele e la sospensione degli insediamenti israeliani per 4 anni. Una parte importante della proposta riguarda gli aiuti economici alla popolazione palestinese, che dovrebbero raggiungere i 50 miliardi di dollari.

L’impostazione generale del piano di pace è stata illustrata martedì 28 gennaio in una conferenza stampa congiunta di Donald Trump e Benjamin Netanyahu; il premier israeliano si è detto d’accordo nel considerare il piano la base delle trattative e ha sottolineato come in questa proposta di accordo le colonie in Cisgiordania resteranno israeliane. La soddisfazione di Netanyahu è apparsa evidente: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, la sovranità sulla valle del Giordano e la promessa che la questione dei profughi palestinesi sarà risolta «fuori dai confini di Israele» negando cioè il cosiddetto diritto al ritorno, sono pilastri importanti delle aspirazioni israeliane e nell’immediato rappresentano un importante aiuto nella campagna elettorale del capo del Likud, che sarà sottoposto al giudizio delle urne il 2 marzo, per la terza volta in un anno.

Mercoledì 29 Netanyahu è a Mosca, dove incontrerà Putin, per confrontarsi sui rinnovati scenari del Medio Oriente. La proposta degli Stati Uniti non sembra però sul momento in grado di attivare nuovi negoziati e favorire la distensione. Il piano di pace è stato rifiutato dai palestinesi, che si sono dichiarati contrari soprattutto alla soluzione proposta per Gerusalemme; a Gaza ci sono già state manifestazioni di massa contro la proposta degli Stati Uniti.  Il presidente palestinese Abu Mazen ha dichiarato «Gerusalemme non è in vendita» e manifestato l’intenzione di buttare «nella pattumiera della storia» il piano di Trump. Dal canto suo, Hamas ha denunciato il carattere aggressivo della proposta, che non porterà alla pace ma a nuove tensioni. Prudentemente Trump ha previsto 4 anni di trattative fra le parti in causa per arrivare a un accordo. Il rischio è che su queste basi il negoziato non possa neanche iniziare; la diplomazia degli Stati Uniti potrebbe però cercare di ottenere una posizione possibilista intanto da parte di alcuni Paesi arabi.

Immagine: Da sinistra Donald Trump e Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, Washington, Stati Uniti (27 gennaio 2020). Crediti: The White House. Official White House Photo by Joyce N. Boghosian [Public Domain Mark 1.0], attraverso www.flickr.com

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