Venerdì scorso [4 maggio NdR] in Tunisia la “Commissione nazionale d’inchiesta sugli eccessi e le violazioni” ha presentato dopo oltre 14 mesi di lavori il rapporto finale. Nata il 18 febbraio 2011, la Commissione fu incaricata di fare luce sugli innumerevoli episodi di violenza verificatisi nei giorni più concitati della rivolta tunisina.
Si tratta di un dossier di oltre mille pagine, frutto di un’inchiesta su scala nazionale che avrebbe dovuto censire in maniera definitiva anche il numero di vittime della repressione del regime di Ben ‘Ali. Le cifre ufficiali sino ad oggi a disposizione erano infatti quelle fornite dalle Nazioni Unite, che parlavano di 300 morti e circa 700 feriti dal momento dello scoppio delle tensioni, nell’oramai lontano 17 dicembre 2010.
Il Rapporto della “Commissione Bouderbala”, (dal nome del capo della Commissione stessa, Tawfiq Bouderbala) ha censito sino ad oggi 338 morti e 2147 feriti, cifra quest’ultima ritenuta ancora “provvisoria” per il fatto che, denunciano numerose ONG locali, i dossier delle vittime sono depositati presso diversi ministeri (soprattutto quelli della Difesa Nazionale, dei Diritti dell’uomo e della Sanità) ed apposite commissioni, fatto che ha reso difficile sino ad oggi il loro accorpamento.
La battaglia sulle cifre riveste notevole importanza soprattutto per le famiglie di quelli che vengono definiti i “martiri della rivoluzione”. Il 24 ottobre 2011, infatti, un decreto legge era stato emanato per tentare di regolamentare gli indennizzi che lo Stato tunisino si era impegnato a fornire a tutte le vittime della rivoluzione.
Il rapporto appena presentato ha tuttavia valenze più ampie. Numerosi giornalisti negli ultimi tempi hanno sottolineato la carenza di documenti ufficiali che permettano di documentare la rivolta ed il successivo processo di transizione. Parlando dei lavori della neo-eletta Assemblea costituente tunisina, la giornalista Wafa Ben Hassine, dalle pagine di Nawaat, ha recentemente denunciato come “sino ad oggi, non esiste alcuno strumento sistematico per accedere alle informazioni sui lavori delle commissioni, un lavoro che è alla base della redazione della nuova carta costituzionale”. La carenza di fonti impedisce il quotidiano monitoraggio dell’attività politico-istituzionale nel paese e, aggiungiamo noi, limiterà fortemente negli anni a venire l’attività di ricostruzione storica di questo cruciale periodo di transizione. Ecco perché il rapporto della Commissione, rappresentando una fonte ufficiale per la ricostruzione di questa fase, è oggi così importante.
Il rapporto (in arabo) si divide in 5 sezioni. All’inizio, vi è un’analisi sistematica delle violazioni avvenute dall’inizio della rivolta. Alcuni temi particolari, come le violenze nelle carceri o quelle subite dalle donne e dai bambini, sono trattati in capitoli specifici. Ad attirare maggiormente l’attenzione è tuttavia la seconda parte del racconto, quella che si propone di “ricostruire il quadro complessivo degli eventi e di determinare le responsabilità collettive e istituzionali [tahdîd mas’uliyya wa mu’assasâtiyya] al fine di evidenziare come, e perché, si sono prodotte tali violazioni”. Distinguendosi dall’attività quotidiana della giustizia ordinaria, la Commissione ha deciso di concentrarsi sul quadro complessivo, ricostruendo la catena di comando che autorizzò i brutali atti repressivi.
Ad essere chiamati direttamente in causa sono l’ex Presidente della Repubblica ed i Ministeri della Difesa Nazionale, degli Interni, della Sanità pubblica, nonché il Ministero della Comunicazione. Per ogni “imputato”, il rapporto confronta le prerogative conferitegli a norma di legge con i comportamenti adottati durante la rivolta, mettendo a nudo violazioni e crimini.
Ugualmente interessante è il capitolo riguardante il comportamento delle forze dell’ordine, dove si denunzia l’esistenza di “tiratori scelti” durante le manifestazioni, un gruppo armato che, ufficialmente, non esisteva nell’organigramma delle forze di sicurezza controllate dal Ministero degli interni. Nelle conclusioni dell’indagine, si afferma chiaramente che non sono stati rinvenuti ordini scritti di sparare contro i manifestanti da parte delle alte sfere di comando. Tuttavia, continua il testo del dossier, “questo non impedisce che siano stati forniti degli ordini per via telefonica, canale questo non soggetto a controlli”. Amel Walchi, una delle protagoniste indiscusse della Commissione, ha sottolineato in proposito come “la premeditazione degli assassinii mirati” è oggi una certezza.
I risultati dei lavori della Commissione non hanno un valore giuridico a sé stante, tuttavia i processi che sono in corso, e quelli che si avvieranno nei prossimi mesi, potranno avvalersi del rapporto per l’accertamento delle responsabilità anche, a titolo individuale. Per gli storici e i politologi, invece, il Rapporto rappresenterà una fonte preziosa per comprendere un periodo di transizione ancora denso di ombre.