Da quasi un anno il Venezuela si trova prigioniero di un blocco istituzionale determinato dalla storica vittoria alle elezioni legislative della coalizione di opposizione, la Mesa de la Unidad Democratica (MUD), che lo scorso dicembre ha ottenuto la maggioranza relativa, aggiudicandosi quasi due terzi dell’assemblea. In tutti questi mesi, tuttavia, il Parlamento, guidato da uno degli storici leader dell’opposizione, Ramos Allup, ha giocato un ruolo sempre più marginale, vista l’assoluta indisponibilità del presidente Maduro a riconoscerne la legittimità. Così, a colpi di sentenze del Tribunale Supremo, Maduro ha governato il Paese con decreti presidenziali, invalidando, una dopo l’altra, le molte leggi approvate dal Parlamento e consolidando una crisi istituzionale che non trova precedenti nella storia recente della regione.

In questo contesto, nell’ultimo anno è maturata la decisione dell’opposizione di convocare un referendum revocatorio per porre fine al mandato di Maduro, come previsto dalla Costituzione. Nei mesi scorsi la MUD ha depositato le firme necessarie per attivare il primo passaggio di questa procedura, ed è in attesa da due mesi di poter procedere alla seconda raccolta di firme, quella del 20% degli elettori. Dopo molto tergiversare, il Consejo Nacional Electoral (CNE) ha deciso di posticipare al prossimo anno tale raccolta di firme, provocando così uno slittamento indefinito del referendum. Le conseguenze di questa decisione sono rilevanti. Infatti, qualora si celebrasse questa consultazione una volta scaduta la prima metà del mandato di Maduro, un suo esito favorevole ai promotori non comporterebbe elezioni anticipate, ma solo il passaggio delle consegne dal presidente al vicepresidente (opzione che la MUD voleva evitare). Dopo l’ennesimo rinvio, dunque, la MUD ha deciso di organizzare imponenti manifestazioni che hanno visto scendere in piazza centinaia di migliaia di persone per manifestare contro il rinvio dei termini per la raccolta delle firme.

Nel perdurare di questa crisi, però, si intravedono ora nuovi spiragli per un dialogo tra governo e opposizione, di cui si sta facendo mediatore il Vaticano. Il presidente Maduro, alle prese peraltro con una sempre più grave crisi economica, durante una missione in Medio Oriente verso Paesi OPEC (e non) con l’obiettivo di ottenere un accordo sulla riduzione della produzione per difendere il prezzo del greggio, alla fine di ottobre ha effettuato un inatteso scalo a Roma per incontrare papa Francesco, che da tempo segue con attenzione l’evolversi della delicata situazione del Paese sudamericano, schierandosi sempre a favore di una ripesa del dialogo tra le parti. Al termine di questo incontro, favorito dall’azione del nuovo preposito generale dell’ordine dei Gesuiti, il venezuelano Arturo Sosa Abascal, il Vaticano ha diramato un comunicato nel quale si invitano nuovamente le parti al dialogo. È stato così convocato un primo tavolo negoziale, dapprima a l’Isla Margarita, di seguito a Caracas. Nelle prime ore successive a questo “colpo di scena” l’opposizione, trovatasi in parte spiazzata, ha rigettato la proposta, di fatto considerata non coerente con l’attuale condotta dell’esecutivo. Successivamente, con l’aggiungersi al tavolo negoziale della delegazione dell’Unasur, l’Unione delle nazioni sudamericane, e di un inviato speciale del vaticano, Claudio Maria Celli, e l’annuncio di una missione contestuale a Caracas dell’inviato per il Venezuela del segretario di Stato USA John Kerry Kerry, Thomas Shannon (già da tempo in prima linea per costruire ponti tra governo e opposizione), la MUD, con l’unica eccezione del partito di Leopoldo Lopez, Voluntad Popular, ha deciso di sedersi al tavolo dei negoziati.

In pochi giorni si è così riunito il consesso, cui hanno preso parte il presidente Maduro, il ministro degli Esteri Delcy Rodiguez, il sindaco Jorge Rodríguez, l’ex Ministro Elías Jaua e l’ex ambasciatore all’OSA Roy Chaderton. Al centro dell’agenda temi cruciali, come la data del referendum, il rispetto del Parlamento e la liberazione dei prigionieri politici. Una storica foto che ritrae Maduro e Jesus Torrealba, coordinatore generale della MUD, mentre si stringono la mano, ha coronato la prima sessione di dialogo.

Importanti passi sono stati fatti, anche se molti sono i dubbi sulla tenuta di questo tavolo. Alla fine della prima riunione, l’inviato del Vaticano, Claudio Maria Celli, ha letto un comunicato in cui si annunciava che saranno avviati quattro tavoli di lavoro, che verranno coordinati dai mediatori dell’Unasur, impegnati da mesi nella promozione dell’avvio di questo dialogo, sotto la guida degli ex Presidenti José Luis Rodriguez Zapatero, Leonel Fernandez, Martin Torrijos. Nelle dichiarazioni seguite all’incontro, Celli ha ribadito il carattere costruttivo del tavolo e la necessità “del rispetto tra le parti”, così come il raggiungimento di un impegno “condiviso per il mantenimento della pace”. Inoltre, durante le conversazioni sono stati affrontati i temi relativi “al cronogramma elettorale e all’istituzionalità, nonché il rispetto dei processi elettorali previsti dalla Costituzione”. Rodríguez, intervenuto per parte del governo alla fine dei colloqui, ha confermato l’interesse a individuare una via d’uscita e mantenere i “toni bassi”. Torrealba, per conto della MUD, ha ringraziato il Vaticano specificando che la partecipazione della MUD a questo tavolo è avvenuta proprio per impulso diretto del pontefice. Da parte sua, Maduro ha voluto manifestare “davanti alla rappresentante di papa Francesco, la gratitudine ed il mio impegno assoluto come presidente della Repubblica e leader del Movimiento Bolivariano y Revolucionario de Venezuela in questo processo di dialogo”. Dopo poche ore il governo ha di fatto compiuto un passo importante, liberando cinque prigionieri politici.

Tuttavia, molti sono i dubbi che permangono sulla tenuta di questo processo, visti anche i fallimenti succedutisi negli ultimi mesi. A preoccupare è soprattutto la spaccatura emersa all’interno della MUD, con la decisione di Voluntad Popular di non prender parte, per il momento, al dialogo, e nonostante sia stato annunciato che dopo la prossima sessione il Partido di Leopoldo López valuterà se prendervi parte o meno, lasciandosi così aperta una finestra.

Non sembrano inoltre addolcirsi i toni del confronto tra esponenti del PSUV e alcuni settori dell’opposizione, come Voluntad Popular, definito da Maduro un partito “terrorista”, proprio perché non ha voluto partecipare ai negoziati, mentre Deosdado Cabello non ha esitato a denunciare presunti tentativi di azioni violente da parte di questo partito. Henrique Capriles, portavoce di un’ala più moderata della MUD, esponente di Primero Justicia e governatore di Miranda, si è fatto latore di un messaggio più ottimista rispetto alla riapertura del dialogo, sottolineando che tuttavia l’unica via per proseguire è “quella elettorale”, e ricordando comunque che il referendum può essere ancora riconvocato. Più ottimista Ramos Allup, presidente dell’Asamblea Nacional, che ha dichiarato che nei prossimi giorni vi saranno eventi “ decisivi” per il futuro del Paese, annunciando la sospensione del dibattito parlamentare relativo al “giudizio politico” avviato nei giorni scorsi.

Si apre dunque un nuovo scenario, ancora incerto, in cui la novità più consistente appare rappresentata dall’intervento del Vaticano, elemento dirimente per favorire la partecipazione dell’opposizione al dialogo. Starà ora alla MUD trovare la capacità di mantenere una compattezza interna e superare l’attuale divisione che, nei fatti, come indicato da Thomas Shannon in più occasioni, ha una profonda spaccatura al suo interno data dalla duplice ambizione di Leopoldo López ed Henrique Capriles a giocare un ruolo nello scenario post Maduro.

Di fatto, la decisione di sospendere nuovamente il referendum revocatorio proietta il Paese in uno scenario elettorale naturale nel 2018 e non in uno anticipato al 2017, con l’entrata in scena di un “traghettatore”, che attualmente potrebbe essere il vicepresidente in carica (Aristobulo Isturiz), così come previsto dalla Costituzione, incarico che potrebbe però essere facilmente affidato ad altre personalità del chavismo, forse già oggi in competizione, come il generale e ministro delle Difesa Vladimir Padrino López, ora alla guida del “Gran Mision Abastecimiento”, o l’ex presidente della Asamblea e oggi leader del PSUV, Diosdado Cabello Rondón, o il più giovane governatore dello Stato di Aragua, Tareck El Aissami.

Inizia dunque una competizione molto accesa interna al chavismo, cui di certo gioverà il prolungamento di una fase di transizione, perché se è vero che secondo molti sondaggi Maduro ha una disapprovazione del 77%, circa il 50% dell’elettorato ha ancora una posizione favorevole al chavismo: se è probabile che Maduro perderà il referendum revocatorio, è altresì plausibile che alle elezioni del 2018 un candidato chavista possa ancora correre per vincere.