Ci sono tutti i punti di forza e le contraddizioni dell’Unione Europea (UE) nel difficile negoziato che i capi di Stato e di governo dovranno condurre, il 17 e 18 luglio, per trovare un accordo sul piano di ripresa post-Covid-19 e sul bilancio pluriennale europeo 2021-27.

Per l’ennesima volta negli ultimi dieci mesi, i leader dei 27 Paesi membri arriveranno all’appuntamento del Consiglio europeo al grido di “non c’è più tempo da perdere”. Ma se fino a febbraio il dibattito sul prossimo bilancio sembrava interessare solo pochi appassionati di cose europee, la pandemia e la conseguente proposta di creare un inedito piano di ripresa ancorato al bilancio stesso (ribattezzato Next Generation EU dalla Commissione europea, ma meglio conosciuto come Recovery plan o Recovery fund), ha alzato la pressione sui leader affinché si arrivi davvero a una decisione.

Le posizioni in campo

Le girandole d’incontri che negli ultimi giorni hanno visto protagonisti ministri e capi di governo, fra cui anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, bastano a far intuire il frenetico lavoro diplomatico portato avanti dalle cancellerie in vista del summit. Gli schieramenti sono ormai noti: da un lato ci sono i cosiddetti “frugali” (Paesi Bassi, Austria, Svezia e Danimarca), a cui si aggiunge una Finlandia sempre più battagliera, che chiedono un bilancio pluriennale ridotto all’osso e un piano per la ripresa fondato principalmente sui prestiti ai Paesi in difficoltà, legato a doppio filo col rispetto di condizioni molto rigide. Dall’altro i Paesi mediterranei come Italia, Spagna, Portogallo e Francia che sono favorevoli a un aumento del bilancio europeo, anche attraverso la creazione di nuove “risorse proprie” (cioè entrate ricavate attraverso nuove imposte a livello UE), e a un piano per la ripresa basato essenzialmente su sovvenzioni a fondo perduto. A complicare ancora di più il quadro ci sono poi i Paesi di Visegrád, con Ungheria e Repubblica Ceca che chiedono più soldi, mentre la Polonia sostiene il piano di ripresa che la vedrebbe fra i maggiori beneficiari. Tuttavia, c’è il rischio che Varsavia possa rivedere la propria posizione se dovesse cambiare a suo sfavore la distribuzione delle risorse (secondo le ultime previsioni di Bruxelles, il Paese, che non ha mai attraversato una vera emergenza sanitaria, sarà fra i più resilienti di fronte alla crisi) o dovesse irrigidirsi il legame fra le risorse e il rispetto dello Stato di diritto.

La proposta di Michel e la mediazione di Merkel

Il testo che i leader europei troveranno sul tavolo del primo summit “fisico” dallo scoppio della pandemia è quello presentato il 10 luglio dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. L’ex premier belga ha di fatto confermato il piano per la ripresa da 750 miliardi avanzato da von der Leyen, che, qualsiasi sarà il risultato finale dei negoziati, rappresenterà una svolta storica per l’UE. Per la prima volta i Paesi membri forniranno alla Commissione europea le garanzie necessarie per potersi indebitare sui mercati, qualcosa di inimmaginabile solamente pochi mesi fa.

La vera differenza politica fra la proposta di von der Leyen e quella di Michel riguarda però la procedura che porterà all’esborso delle risorse a favore dei Paesi. La Commissione aveva proposto che i piani nazionali e il conseguente trasferimento di denaro pubblico fossero approvati dai comitati tecnici da essa gestiti. Per strizzare l’occhio ai Paesi frugali e ai governi più preoccupati da possibili sprechi, Michel chiede invece che l’iter di approvazione sia in mano ai 27 governi. Potrebbe essere questa la chiave di volta per convincere i più recalcitranti a varare un piano che prevede 500 miliardi di sovvenzioni e 250 miliardi di prestiti.

Altri argomenti di lunghe discussioni saranno la nuova chiave di distribuzione delle risorse proposta da Michel (dando, dal 2023, più peso al calo del PIL piuttosto che all’aumento della disoccupazione), le nuove risorse proprie (Michel ha messo sul tavolo da subito solo la tassa sulla plastica) e il meccanismo per legare il bilancio UE al rispetto dello Stato di diritto (molto annacquato rispetto alle formulazioni precedenti).

In tutto questo complicato gioco d’incastri sta avendo un ruolo fondamentale la mediazione della cancelliera Angela Merkel, che dal primo luglio ha assunto la presidenza di turno dell’UE. La Commissione non ha mai nascosto che la proposta avanzata dalla stessa Merkel e dal presidente francese Emmanuel Macron di un fondo per la ripresa da 500 miliardi sia stata fondamentale per arrivare a Next Generation EU. Fin dagli ultimi mesi del 2019, nei corridoi di Bruxelles i diplomatici più esperti sussurravano già che il semestre di presidenza croata (dal 1° gennaio al 30 giugno 2020) sarebbe stato solo transitorio e che sarebbe stato necessario il peso politico e l’esperienza di Merkel per chiudere il negoziato.

Com’è nella sua natura, finora la cancelliera si è mostrata cauta e non ha escluso che possa essere necessaria una seconda riunione dei leader, a fine luglio, per trovare la quadra del cerchio.

Il ruolo fondamentale del Parlamento europeo

Se l’intesa fra i 27 leader europei sembra ancora lontana, è bene ricordare che la partita non sarà finita finché anche il Parlamento europeo non avrà dato il suo via libera al nuovo bilancio dell’UE. I trattati conferiscono all’aula di Strasburgo il potere di validare o bocciare il bilancio pluriennale, e da mesi gli eurodeputati stanno scaldando i motori in attesa di poter entrare nel vivo della corsa. Le elezioni del maggio 2019 hanno disegnato un emiciclo composto da molti membri alla loro prima legislatura, che aspettano solo di poter far sentire la propria voce. Fra i deputati più esperti, invece, c’è chi si sente tradito dalle promesse fatte sette anni fa da Commissione UE e governi, che avevano assicurato un maggiore impegno sul fronte delle nuove risorse proprie e un progressivo aumento del bilancio comunitario.

Il Parlamento è stato molto chiaro finora: le proposte di von der Leyen e Michel sono una base di partenza ma non un punto di arrivo, perché ancora troppo timide. L’esatto opposto di quanto professano i “frugali”, Paesi Bassi in testa. Quello che potrebbe chiudersi entro fine luglio, insomma, sarà solo il primo tempo di un film lontano dalla conclusione, la cui sceneggiatura è ancora tutta da scrivere.

Immagine: La sala predisposta per la riunione dei ministri degli Affari esteri europei presso la sede del Consiglio europeo, Bruxelles, Belgio (20 gennaio 2020). Crediti: Alexandros Michailidis / Shutterstock.com

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