È la diga della discordia. Interrompe il corso del Nilo Azzurro che rappresenta una risorsa imprescindibile per Etiopia, Sudan ed Egitto, ma provoca tra loro dal 2011, anno di posa della prima pietra, tensioni mai risolte. Per il primo dei tre, poi, senza sbocco al mare e con gravi carenze energetiche in molte aree, è questione di sopravvivenza. Ma i nervosismi degli ultimi mesi, quando il progetto affidato alla Salini Costruttori, l’azienda ammiraglia italiana in varie zone dell’Africa, si avviava a conclusione, sono arrivate ai limiti del conflitto aperto, con risvolti politici, economici ed ambientali. Lo sforzo dell’Unione Africana (UA), che ha convocato colloqui e negoziati sotto la mediazione del Sudafrica ‒ presidente di turno ‒ all’inizio di agosto, e le pressioni di Paesi continentali e non fanno sperare in una risoluzione pacifica. Anche se la strada sembra più lunga del Nilo stesso.

Quel ramo del fiume più grande al mondo che va sotto il nome di Nilo Azzurro, sorge nel Lago Tana, quindi in Etiopia. In Sudan ci arriva all’altezza di Khartoum dove si ricongiunge all’altro ramo ‒ il Nilo Bianco ‒ per poi scorrere fino all’Egitto e sfociare nel Mediterraneo. La Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), grandioso progetto da 4,7 miliardi di dollari, quando sarà ultimata (a ottobre 2019 si era giunti al 70% della costruzione) avrà la grande funzione di accumulare riserve di acqua e garantire l’autosufficienza energetica a un Paese stremato da continue siccità e costretto per circa il 60% della sua popolazione a vivere con razionamenti continui o ricorrere a intensive azioni di disboscamento per provvedere al proprio fabbisogno.

Il Sudan e l’Egitto, però, non ci stanno. Temono che la concentrazione di acqua che determinerà quello che si annuncia il più grande impianto idroelettrico di tutto il continente e tra i primi sei al mondo, con i suoi oltre 6 gigawatt di potenza e una capacità di serbatoio di 72 miliardi di metri cubi, sarà in gran parte a beneficio dell’Etiopia e causerà gravi problemi ai due Paesi, specie in periodi di siccità. Il controllo delle riserve idriche – sostengono a Khartoum e al Cairo – è a totale appannaggio degli etiopi che possono fare il buono e il cattivo tempo. I due accusano Addis Abeba di aver già iniziato a riempire la diga e sbandierano gli accordi firmati nel 1929 e nel 1959 che davano a loro molti più diritti e garanzie sull’utilizzo dell’acqua del Nilo. Per l’Etiopia, invece, quelle intese sono carta straccia di memoria coloniale ampiamente superate da un accordo siglato nel 2010 tra sei Paesi attraversati dal Nilo che rende ragione alle sue istanze. Obiettivo dichiarato di Addis Abeba, quindi, è procedere senza indugi, raggiungere la piena capacità di produzione di energia elettrica nel giro di due, massimo tre anni e riempire la diga nel giro di dieci.

Dopo un inizio promettente dei colloqui, che partivano all’indomani di un luglio infuocato caratterizzato da scambi di accuse e proclami, terminato, in ogni caso, con un vertice che dava luce verde ai negoziati, si è assistito a un raffreddamento che ha condotto al ritiro dal tavolo dell’Egitto e alla minaccia di fare altrettanto del Sudan. I due Paesi, il 5 agosto, hanno chiesto la sospensione dei colloqui per permettere ulteriori consultazioni riguardo i termini dell’agreement che, secondo loro, non rispetterebbero gli accordi precedenti.

A complicare lo scenario, le forti piogge di agosto. Le autorità egiziane e quelle sudanesi, allarmate dalla segnalazione di un netto accumulo di acqua in alcuni bacini della diga, hanno subito protestato convinti che l’Etiopia stesse procedendo spedita a riempire i serbatoi, senza aver ancora raggiunto alcun accordo. Addis Abeba ha smentito ogni tipo di azione in tal senso e spiegato con i forti temporali l’aumento di acqua. Pesa, comunque, al di là delle piogge, la decisione unilaterale di metà luglio scorso, con cui l’Etiopia ha dato il via effettivo al riempimento del bacino dichiarando che due delle turbine saranno operative già a partire dal 2021.

Importante, al fine di rasserenare gli animi e riportare tutti a sedere attorno al tavolo, l’intervento del Sudafrica, presidente di turno dell’UA e mediatore ufficiale dei colloqui: «I negoziati – si legge in una nota ufficiale – sono giunti a una fase critica e incoraggiamo le parti a restare impegnate e a continuare a essere guidate dallo spirito di solidarietà e fraternità pan-africane».

Ma il primo ministro etiope Abiy, insignito del premio Nobel nel 2018 e impostosi sulla scena internazionale per le sue innovazioni e il coraggio di alcune riforme ‒ ora sotto tiro su diversi fronti a causa di scontri interetnici e grave crisi politica ‒ non può permettersi di arretrare di un centimetro. Il progetto è divenuto motivo di orgoglio nazionale e ha tutte le caratteristiche per riunificare un Paese molto lacerato da tensioni politiche interne ed esterne. La Grand Ethiopian Renaissance Dam risolverebbe tanti problemi ai 110 milioni di abitanti fornendo all’Etiopia un grosso potere nella strada per imporsi sempre più come key regional player.

Allo stesso tempo la partita che giocano il Sudan ‒ in piena transizione democratica dopo l’inaspettato ribaltamento del regime dittatoriale di Omar al-Bashir nell’aprile del 2019, e alle prese con tensioni interne da mesi – e l’Egitto, è molto delicata. La trattativa è quindi bloccata con Egitto e Sudan da una parte che chiedono un accordo globale e l’Etiopia, dall’altra, che vuole strappare un’intesa intanto sulla prima fase di riempimento del bacino. Khartoum e il Cairo, poi, vogliono un agreement vincolante, Addis Abeba, invece, punta ad avere le mani più libere nella gestione del flusso dell’acqua. Difficile immaginare un arretramento docile dalle proprie posizioni. Più facile aspettarsi l’aumento dello stato di tensione oltre i limiti di guardia. Lo ha capito anche il papa che, nel consueto Angelus del 15 agosto scorso, ha voluto fare riferimento alla delicata situazione richiamando tutti alla calma e al negoziato. «Invito Etiopia, Sudan ed Egitto – ha detto il pontefice ‒ a continuare sulla via del dialogo affinché il Fiume Eterno continui a essere una linfa di vita che unisce e non divide, che nutre sempre amicizia, prosperità, fratellanza e mai inimicizia, incomprensione o conflitto».

Immagine: Il territorio fertile lungo il Nilo a Luxor, Egitto (aprile 2005). Crediti: Bionet [public domain], attraverso Wikimedia Commons

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