Lo scorso martedì l’America politica seguiva con attenzione le primarie democratiche di New York (ma si votava anche in altri Stati). Non tanto quelle presidenziali ‒ ce ne siamo quasi scordati, ma sono ancora in corso ‒ quanto quelle per il Congresso. I media hanno seguito le primarie del 14° collegio della Camera dei rappresentanti (che copre porzioni di Bronx e del Queens): sono quelle che nel 2018 erano state vinte da Alexandria Ocasio-Cortez con un incredibile successo, ottenuto ai danni di una delle più importanti figure del Partito democratico a livello nazionale, Joe Crowley (era il deputato in carica da 20 anni). Nel collegio della Ocasio-Cortez correva una sfidante apparentemente robusta, Michelle Caruso-Cabrera, e la cosa aveva fatto notizia.

La Caruso-Cabrera è un volto noto, in quanto giornalista televisiva. È una donna latina come la Ocasio-Cortez, ma è di origine cubana ed è un’ex elettrice repubblicana. Il marito è un banchiere che sostiene il Partito repubblicano e lei ha ricevuto contributi da società di Wall Street. Tutto questo le è stato rinfacciato dalla Ocasio-Cortez, che ha sottolineato il rischio di un ritorno del “business as usual” della politica di New York. Il riaccendersi del conflitto era in realtà un artificio mediatico: la Ocasio-Cortez ha vinto ‒ al netto del voto per posta ‒ aggiudicandosi il 72,6% dei voti. La stessa Ocasio-Cortez ‒ che per la sua visibilità è molto popolare in tutto il Paese ‒ ha ottenuto 5 volte i finanziamenti della sua avversaria (10 milioni di dollari contro 2). La vittoria larga rafforza la sua posizione di erede del capitale politico di Bernie Sanders. Oltre lei, che di questo capitale è la principale beneficiaria, le congresswomen radicali del ciclo che sta per chiudersi sono le altre componenti della “Squad”: Ilhan Omar, Ayanna Pressley e Rashida Tlaib. Questo circuito di primarie dovrà dare conto, alla fine, di quanta forza espansiva posseggono i radicali all’interno del partito: i “radical” si lanciano in competizioni contro l’establishment che tendono a perdere ‒ il tasso di rielezione al Congresso è circa del 90%, non è facile vincere una primaria se in ballo c’è ancora il vecchio candidato ‒, ma quando vincono fanno molto rumore. Il contingente della Squad ‒ per continuare a contare al Congresso ‒ andava rafforzato.

New York è uno dei luoghi dove ciò è accaduto. I tre nomi da ricordare sono Jamaal Bowman, Mondaire Jones e Ritchie Torres, tre afroamericani (va ricordato che per nessuno dei tre abbiamo un risultato definitivo, che si avrà solo col conteggio del voto per posta, per il quale si dovrà attendere qualche giorno: Torres distanzia il secondo arrivato del 10%, in una affollatissima competizione, ed è l’unico dei tre a non essere stato ancora “proclamato” dai media come vincitore, ma pare destinato a trionfare anche lui).

Jamaal Bowman era il caso sotto i riflettori. Il più anziano dei tre (44 anni, gli altri due hanno superato da poco i 30) è stato rappresentato come il nuovo AOC: ha sconfitto una figura di rilievo del partito, Eliot Engel, eletto al Congresso dal 1988 (Engel ha 73 anni). Engel ha perso con quasi 30 punti di distacco. Bowman è un attivista e un dirigente scolastico di una scuola del Bronx, e ha avuto una vita non facile, come gli altri due outsider. Come la Ocasio-Cortez, è stato selezionato e aiutato dai “Justice Democrats”, dei cacciatori di teste di candidati democratici radicali.

Mondaire Jones, invece, si è presentato dicendo «sarò il primo gay afroamericano dichiarato della storia del Congresso». È un avvocato, un attivista per i diritti civili e la sua biografia è quella di un afroamericano che parte enormemente svantaggiato, ma riesce a farcela (e che non lascia la sua comunità di riferimento): madre povera e single, cresciuto da nonni che di mestiere fanno le pulizie e hanno conosciuto la segregazione razziale, riesce a entrare a Stanford, lavora nell’amministrazione Obama giovanissimo, completa la formazione alla Harvard School of Law.

Ritchie Torres, invece, viene dal collegio elettorale più povero degli Stati Uniti, quello di South Bronx. Considerato ambizioso e capace, è un afrolatino che siede nel Consiglio comunale di New York, ed è un alfiere delle battaglie sulla giustizia sociale (anche lui omosessuale dichiarato). I suoi temi? Riforma della polizia, della giustizia, la casa per tutti. Il suo avversario più diretto, il portoricano Ruben Diaz (un conservatore sulle questioni morali) ha definito le istituzioni «ostaggio della lobby gay».  È arrivato terzo.

Le crisi di questi giorni ‒ le proteste per la morte di Floyd e quella sanitaria ‒ hanno aiutato queste figure, non c’è dubbio. Engel, per esempio, è stato dipinto come lontano dai suoi elettori nel momento della crisi del Covid-19; la biografia di uomini di colore che hanno subito ingiustizie e discriminazioni ha avuto un impatto più forte in questi giorni. Ma al di là della contingenza, vale la pena mettere in fila 3 brevi considerazioni che ci fanno dire che questa radicalità si sta strutturando in modo stabile dentro il Partito democratico, pur essendo minoranza:

1. le nuove leve… sono nuove. Sono tutti molto giovani, raccolgono l’interesse e l’entusiasmo dei newcomers della politica americana, che si tratti dei “sanderisti” o di chi ha marciato al grido di “Black Lives Matters”. Raccolgono e organizzano domanda di rappresentanza altrimenti senza sbocchi. Danno l’esempio: si può fare;

2. hanno in comune il programma, e questo li rafforza, li rende “squadra”. Green New Deal, politiche sociali, antirazzismo, diritti… Le idee nuove e la domanda di giustizia sociale che avanzano sono un portato non solo ideale, ma sono frutto di un percorso biografico: lo raccontano nei loro spot, e sono credibili. Funziona: quando Torres parla delle sofferenze del vivere a South Bronx, ne parla per esperienza diretta. Racconta della difficoltà di essere tre fratelli cresciuti da una madre sola e povera; parla della discriminazione della polizia con cognizione di causa; racconta la depressione legata alle difficoltà di accettarsi come omosessuale. Torres ha fatto la vita di chi rappresenta, ha vinto alcune battaglie per loro essendo uno di loro;

3. le nuove leve politiche sono “intersezionali”. Per biografia e posizionamento politico tendono a superare la identity politics tipica dei democratici: non vogliono divenire “solo” i rappresentanti dei neri al tavolo politico, ma vogliono rappresentare la somma e la sintesi nuova dell’essere donna, gay, povero, minoranza… e questo è più facile nei loro collegi urbani, multirazziali, in evoluzione demografica: sono l’esperienza viva dell’America meticcia del futuro.

Immagine: Uno scuolabus sotto il ponte ferroviario nel Bronx, New York City, Stati Uniti (1 novembre 2017). Crediti: travelwild / Shutterstock.com

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