Nottata di violenti scontri a Memphis, dopo che agenti di polizia hanno ucciso un giovane afroamericano, Brandon Webber, 20 anni, nel quartiere popolare di Frayser. Ancora da chiarire completamente la dinamica dei fatti; secondo le fonti ufficiali Webber, sul quale pendeva un mandato d’arresto per una rapina compiuta nel Mississippi, in un tentativo di fuga ha speronato un’auto della polizia per poi scendere dalla macchina armato ed è stato per questo raggiunto da colpi di arma da fuoco degli agenti. Testimoni oculari contestano questa ricostruzione e affermano che il giovane sia stato crivellato da una ventina di proiettili. Le proteste sono iniziate pacificamente, ma la tensione è ben presto diventata altissima con un bilancio di 24 agenti feriti, diverse macchine della polizia danneggiate e alcuni arresti. L’episodio ha riacceso le tensioni razziali ed è stato messo in collegamento con altri fatti di cronaca che hanno suscitato reazioni altrettanto forti e che hanno visto persone di colore uccise dalla polizia in circostanze non ben chiarite. Più in generale la morte del giovane afroamericano a Memphis ha riportato l’attenzione su un tema molto controverso, quello dei metodi violenti spesso attuati dalla polizia statunitense, che secondo il sito Fatal Encounters, fondato e diretto dal giornalista D. Brian Burghart, ha ucciso 1810 persone nel 2018 e 24.000 se si conta da partire dal 2000.

Immagine: Marcia di protesta di Black Lives Matter, Minneapolis (Minnesota), Stati Uniti (15 novembre 2015). Crediti: Fibonacci Blue. Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0), attraverso www.flickr.com