La campagna elettorale si è conclusa in Algeria domenica 8 dicembre; dopo i tre giorni di silenzio previsti dalla legge, giovedì 12 si voterà per le elezioni presidenziali, le prime dopo che per 20 anni la scena politica è stata dominata da Abdelaziz Bouteflika. Eppure quello che dovrebbe essere il momento cruciale del rinnovamento democratico, viene apertamente contestato proprio da quel movimento di massa che con la sua mobilitazione ha imposto le dimissioni di Bouteflika il 2 aprile scorso. È diffuso il timore che il regime algerino pensi alla consultazione elettorale come a un passaggio necessario per sostituire l’ex presidente lasciando però intatto tutto un sistema di potere; il movimento di protesta chiede invece lo smantellamento del regime e una transizione verso lo Stato di diritto. Hirak è una parola araba che significa “movimento” e indica quella realtà che in Algeria ha iniziato il 22 febbraio la sua protesta contro la candidatura di Abdelaziz Bouteflika a un quinto mandato, ne ha ottenuto le dimissioni e ora continua la sua mobilitazione per mettere fine al regime, rappresentato dal generale Ahmad Gaïd Salah, l’uomo forte del Paese, e dal presidente ad interim Abdelkader Bensalah. Il movimento di protesta continua a scendere in piazza; lo ha fatto anche venerdì 6 dicembre con le parole d’ordine Yetnehaw ga’__! (“Se ne devono andare tutti!”), “Noi non voteremo” e “Il popolo si è stufato”. Molti algerini non vogliono eleggere adesso un nuovo presidente, ma piuttosto avviare un periodo di transizione che passi attraverso un’Assemblea costituente, produca una nuova Costituzione e si concluda indicendo elezioni effettivamente libere e trasparenti. I candidati alla presidenza che si affronteranno il 12 dicembre sono cinque: il giornalista e scrittore Azzedine Mihoubi, che è stato ministro della Cultura tra il 2015 e il 2019, Abdelkader Bengrina, in passato ministro per il Turismo, Abdelmadjid Tebboune, ex primo ministro e parente di Bouteflika, Ali Benflis, ex primo ministro anche lui, che si propone ora come un rinnovatore favorevole a una nuova costituzione, e Abdelaziz Belaïd**,** che ha concentrato la sua campagna sul tema della corruzione. Sono però considerati tutti come troppo implicati con il precedente regime e c’è un forte movimento per il boicottaggio delle consultazioni, considerate una questione di facciata per mantenere in piedi un sistema autoritario. In alcune località ci sono stati episodi di distruzione delle urne; le proteste diffuse ad Algeri e nella regione della Cabilia hanno ricevuto una dura risposta da parte delle forze di sicurezza, con cariche e arresti. La strada per una rottura effettiva con il passato appare ancora impervia e piena di ostacoli.

Crediti immagine: Abdelfatah Cezayirli, attraverso www.pexels.com

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