Con l’approvazione dell’amnistia da parte del Parlamento, sabato 8 giugno, il Nicaragua ha compiuto un ulteriore passo verso la pacificazione del Paese. Il provvedimento, proposto dal gruppo parlamentare sandinista, che ha la maggioranza, e fortemente voluto dal presidente Daniel Ortega, riguarda tutti coloro che sono stati coinvolti nei disordini e nelle manifestazioni di protesta antigovernative che si sono verificati a più riprese a partire dall’aprile 2018 e che hanno causato centinaia di arresti e di morti. Oltre alla liberazione di coloro che si trovano in stato di detenzione, l’amnistia implica il blocco dei processi penali e amministrativi in corso, nonché dell’esecuzione delle sentenze già emesse. Nelle giornate di martedì 11 e mercoledì 12 sono stati liberati circa cento prigionieri politici. In totale dall’inizio dei negoziati sono uscite dal carcere circa cinquecento persone, ma secondo fonti dell’opposizione ne mancano all’appello ancora ottantatré. Il percorso verso una reale e stabile pacificazione è tuttavia ancora lungo. L’amnistia è stata infatti votata solo dalla maggioranza sandinista, mentre le opposizioni di Alleanza civica si sono rifiutate di farlo, sostenendo che il provvedimento non rende giustizia alle vittime delle proteste e si fonda sulla tesi ufficiale che le manifestazioni siano state in realtà un tentativo di colpo di Stato; l’amnistia viene in sostanza vista come un atto di clemenza solo apparente e considerata un espediente giuridico per coprire e nascondere le responsabilità del governo e delle forze armate per le violenze e le violazioni dei diritti umani messe in atto durante la repressione delle proteste.

Immagine: Daniel Ortega (21 agosto 2013). Crediti: Ricardo Patiño [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], attraverso Wikimedia Commons

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