Non accennano a placarsi le proteste che nelle ultime due settimane hanno causato ad Haiti almeno sette morti, numerosi feriti e messo in grave difficoltà intere aree del Paese nelle quali, per via del blocco delle comunicazioni non arrivano nemmeno i beni di prima necessità. Si tratta in realtà della terza ondata di proteste che stanno attraversando il Paese ormai da mesi, e che hanno avuto momenti particolarmente critici anche in ottobre e dicembre 2018. La crisi politica è esasperata dalla disastrosa situazione economica, che ha portato a una grave svalutazione della moneta nazionale, il gourde, e al respingimento del bilancio per quest’anno da parte della Camera dei deputati, in un Paese in cui il 60% degli abitanti vive con meno di due dollari al giorno e che ancora non ha ammortizzato le devastazioni causate dal terremoto del 2010 e dall’uragano del 2016. Il movimento di protesta chiede le dimissioni del presidente Jovenel Moïse, eletto nel 2017, accusato insieme a molti funzionari governativi e membri del suo staff, di essere coinvolto in un grave scandalo di corruzione legato al l’accordo Petrocaribe, in base al quale il Venezuela si impegnava a fornire petrolio ad Haiti ad un prezzo più conveniente in modo che si potesse devolvere il denaro risparmiato a politiche sociali a sostegno della popolazione; il presidente e i suoi collaboratori si sarebbero appropriati tra il 2008 e il 2016 di circa 2 miliardi di dollari. Moise per il momento non ha intenzione di dimettersi, mentre il primo ministro Jean-Henry Céant ha annunciato l’abolizione di alcuni privilegi di cui gode la classe dirigente e ha assicurato che verrà fatta chiarezza sull’inchiesta relativa all’appropriazione indebita di fondi.

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