Domenica 10 febbraio a Madrid si sono mobilitate almeno 45.000 persone (secondo le stime della polizia, ma 200.000 secondo gli organizzatori) per protestare contro il governo socialista di Pedro Sánchez ‒ di cui sono state invocate le dimissioni ‒ per le posizioni troppo morbide rispetto ai separatisti catalani; per la prima volta sono scesi in piazza fianco a fianco Partito popolare, Ciudadanos e l’estrema destra di Vox.

Già da diversi mesi erano in corso colloqui a Barcellona tra governo e leader regionali: Sánchez ha infine deciso di accogliere una richiesta da tempo avanzata dai secessionisti ‒ ovvero la nomina di un mediatore al tavolo delle trattative tra i partiti sostenitori dell’unità e quelli separatisti ‒ anche perché ha bisogno in Parlamento del voto di questi ultimi per l’approvazione della legge di bilancio per il 2019. Le opposizioni lo hanno subito accusato di tradimento e di aver ceduto a un ricatto, chiedendo di indire immediatamente nuove elezioni, ma anche nei ranghi socialisti sono state avanzate alcune perplessità rispetto a una scelta che secondo alcuni alimenterebbe le speranze dei separatisti sulla possibilità in futuro di un referendum di autodeterminazione, opzione che continua ad essere assolutamente esclusa.

La manifestazione si è tenuta a due giorni dall’inizio, martedì 12 febbraio, del processo a dodici politici catalani accusati di ribellione, appropriazione indebita e disobbedienza per la vicenda del referendum del 1° ottobre 2017 e della successiva e fallita dichiarazione di indipendenza. Il delicato e controverso processo si svolge dunque in un clima già teso, e vedrà il coinvolgimento di circa 500 persone in qualità di testimoni nel corso di alcuni mesi; gli imputati rischiano pene detentive altissime che vanno dai 16 ai 25 anni.

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