L’annuncio non arriva di sorpresa, ma sancisce comunque un passaggio importante che chiama l’Europa a scelte non facili e innesta il rischio di un’escalation che potrebbe coinvolgere non solo il Medio Oriente, ma tutto lo scenario mondiale. Domenica 7 luglio l’Iran ha infatti comunicato, nel corso di una conferenza stampa a cui hanno partecipato il portavoce del governo Ali Rabiei, il viceministro degli Esteri Abbas Araghchi e il rappresentante dell’Organizzazione dell’energia atomica iraniana (AEOI**,** Atomic Energy Organization Of Iran) Behrouz Kamalvandi, la sua decisione di aumentare il livello di arricchimento dell’uranio dal 3,67% al 5%. Lunedì 1° luglio era stato comunicato l’effettivo superamento della soglia dei 300 kg, preannunciato il 17 giugno. Scatta così la seconda fase del piano per ridurre gli obblighi previsti dall’accordo sul nucleare del 2015, in risposta alla ripresa delle sanzioni da parte degli Stati Uniti. Sulla base del Piano d’azione congiunto globale (JCPOA, Joint Comprehensive Plan Of Action) firmato a Vienna il 14 luglio 2015 con i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) e con la Germania, l’Iran si era impegnato a non arricchire l’uranio oltre il 3,67%, livello sufficiente per usi civili, e a non conservarne più di 300 kg, in cambio della rimozione delle sanzioni internazionali. Gli Stati Uniti sono usciti dal patto l’8 maggio del 2018 accusando Teheran di non averne rispettato i limiti e di aver esportato conflitti in tutto il Medio Oriente; di conseguenza il presidente Trump ha ripreso la politica delle sanzioni mettendo in gravi difficoltà l’Iran su un piano economico. La dirigenza iraniana, dopo aver chiesto ai Paesi europei senza ottenere risultati di scavalcare le sanzioni americane, ha intrapreso un piano di fuoriuscita graduale e non irreversibile dall’accordo, denunciando il fatto che sono stati gli altri contraenti a non rispettarlo. L’iniziativa iraniana è stata però condannata dalla Germania, dalla Francia e dal Regno Unito che hanno sollecitato un ripensamento e invitato alla moderazione; il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto invece all’Europa il ripristino delle sanzioni, definendo la decisione iraniana sull’arricchimento dell’uranio una mossa molto pericolosa, il cui scopo finale è la produzione di bombe atomiche. Su questa complessa situazione, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha convocato per mercoledì 10 luglio una riunione di emergenza su richiesta dagli Stati Uniti. Secondo alcuni osservatori il rischio di un’escalation è notevole, anche perché la posizione di Trump rischia di favorire nella dialettica interna alla Repubblica Islamica le posizioni intransigenti dei cosiddetti falchi vicini ai pasdaran e alla guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, rispetto alla linea dei riformisti più favorevoli alla distensione, che hanno come riferimento il presidente della Repubblica Hassan Rohani.

Immagine: Hassan Rohani, Sochi, Russia (22 novembre 2017). Crediti: President of Russia  (http://en.kremlin.ru/catalog/persons/362/events/56154/photos/51398). Creative Commons Attribution 4.0 International