Inizia il dopo Bolton nella politica estera degli Stati Uniti; la mossa di Trump, a parte le forme irruente che gli sono proprie, non è irrazionale e dimostra una certa coerenza di indirizzo. Il presidente degli Stati Uniti appare come sempre influenzato fortemente dalle scadenze elettorali e dall’influenza della politica estera sull’opinione pubblica; avvertendo come la rielezione sia tutt’altro che scontata, cerca di ottenere un successo in politica estera. La difficile situazione in tutti i principali dossier (Afghanistan, Iran, Corea del Nord, Venezuela) rende difficile la possibilità di un evento mediaticamente spendibile, ma la sensazione del presidente è che l’intransigenza bellicosa di cui Bolton era l’alfiere non abbia portato da nessuna parte nel breve periodo. Non si tratta di uno scontro fra falchi e colombe. Trump non è certo un pacifista; il suo nazionalismo però, contaminato da un ferreo pragmatismo, lo porta a cercare di spostare gli equilibri a favore degli interessi immediati degli Stati Uniti, senza arrivare all’opzione militare, con una spiccata tendenza ad alternare minacce e trattative che l’atteggiamento muscolare di John Bolton non favoriva. Al consigliere probabilmente non ha perdonato il fallimento del tentativo di rimuovere Maduro in Venezuela sostenendo la parabola di Juan Guaidó, l’ostilità al ritiro dall’Afghanistan, la difficoltà ad aprire una trattativa con la Repubblica islamica che concretizzi in un nuovo equilibrio la massima pressione esercitata con le sanzioni, l’intransigenza con Kim Jong-un che ha condizionato il fallimento del vertice di Hanoi. Gli scontri tra Trump e Bolton erano sempre più frequenti e il suo siluramento non costituisce una sorpresa, soprattutto in seguito alla scelta di Trump di aprire un varco alla trattativa con Teheran e di incontrare il presidente iraniano Hassan Rohani all’imminente assemblea generale dell’ONU «senza alcuna precondizione», come preannunciato dal segretario di Stato Mike Pompeo. Gli esponenti dei movimenti pacifisti salutano con soddisfazione l’uscita di scena di Bolton, che aveva fatto dire allo stesso Trump «non c’è guerra che non gli piaccia». Molti osservatori però pensano che il pragmatismo di Trump sia troppo umorale e soffra di improvvisazione, con le sue svolte repentine, che del resto si sono materializzate nell’ennesimo cambio di guida al vertice della sicurezza nazionale; al presidente forse mancheranno l’esperienza e la competenza di Bolton.

Immagine: John Bolton (27 febbraio 2015). Crediti: Gage Skidmore [Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)], attraverso www.flickr.com