L’Iran ha deciso di sospendere l’attuazione di alcuni degli impegni presi nell’ambito dell’accordo internazionale sul nucleare JCPOA (Joint Comprehensive Plan Of Action) in vigore dal 2015; Teheran non rispetterà più i limiti quantitativi di stoccaggio di uranio arricchito e di acqua pesante.  Inoltre, se entro sessanta giorni gli Stati che ancora aderiscono all’intesa non troveranno il modo di superare il blocco degli Stati Uniti e rispettare gli impegni presi all’interno del JCPOA relativamente al commercio di petrolio e all’accesso al sistema bancario internazionale, l’Iran si sentirà libero dai vincoli rispetto al livello di arricchimento dell’uranio e alla riconversione dell’impianto di Arak. L’iniziativa è una risposta alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti, che sono usciti dall’intesa esattamente un anno fa.

La decisione del Consiglio supremo di sicurezza iraniano è stata comunicata ufficialmente ai Paesi che ancora fanno parte dell’accordo, Gran Bretagna, Cina, Francia, Germania e Russia e li pone davanti a un bivio, cercando di farli uscire dal precario equilibrio in cui si trovano da quando hanno tentato di evitare una rottura con gli Stati Uniti e al tempo stesso salvare l’accordo sul nucleare. Infatti, questa sorta di ultimatum iraniano arriva pochi giorni dopo la decisione degli Stati Uniti di non rinnovare le esenzioni sull’acquisto del petrolio iraniano e dare una scadenza di soli novanta giorni alle esenzioni che permettono alla Cina, alla Russia e ai Paesi europei di collaborare al programma nucleare civile iraniano. La posizione iraniana non è quindi una rinuncia all’accordo e ha una sua logica: la fine delle sanzioni era la contropartita alla limitazione del programma nucleare. Se le sanzioni permangono nei fatti, poiché gli Stati Uniti hanno la forza di farle accettare a tutti, l’Iran si sente libero dai vincoli del trattato.

D’altro canto Donald Trump aveva definito fin dall’inizio “terribile” e pericoloso l’accordo concluso da Barack Obama, ne è uscito nel 2018 e vuole esercitare una forte pressione su Teheran per far cadere il regime o spingerlo a un nuovo negoziato, che imponga maggiori limiti. Anche la visita a sorpresa di Mike Pompeo in Iraq martedì 7 maggio e le motivazioni che sono state addotte, relative alla sicurezza dei cittadini americani e alla difesa degli interessi degli Stati Uniti dalla minaccia iraniana, rientrano in questo scenario. La visita, oltre a creare un incidente diplomatico con la Germania, dove Pompeo era atteso proprio quel giorno in una missione annullata all’ultimo momento, rappresenta un chiaro monito a Teheran. Le pressioni sono molteplici e soprattutto le sanzioni stanno colpendo in maniera molto dura l’economia iraniana, poiché agiscono sull’elemento vitale dell’esportazione di petrolio.

Subito dopo l’annuncio del presidente Hassan Rohani che ufficializzava la decisione di Teheran, la Russia si è dichiarata vicina alle istanze iraniane e ha invitato l’Europa a fare la sua parte per salvare l’accordo. In definitiva, è proprio l’Europa che si trova a scegliere se sancire la fine del JCPOA o se invece rilanciarlo, aggirando o sfidando le sanzioni ed entrando così in contrasto con gli Stati Uniti.

Immagine: Hassan Rohani alla conferenza stampa dopo la riunione dei presidenti di Russia, Iran e Turchia, Sochi, Russia (14 febbraio 2019). Crediti: President of Russia (http://en.kremlin.ru/events/president/news/59830/photos/57820). Creative Commons Attribution 4.0 International