Martedì 1° ottobre il presidente peruviano Martín Vizcarra ha deciso di sciogliere il Parlamento, per la prima volta dal 1992 ‒ sostenendo che esso rappresenta un ostacolo alla sua lotta contro la corruzione dilagante in quanto fa muro contro i suoi tentativi di riforma per proteggere i propri interessi economici ‒ e ha indetto elezioni anticipate per il 26 gennaio 2020. La misura eccezionale adottata da Vizcarra è stata considerata come un colpo di Stato dall’opposizione di Fuerza popular che domina il Parlamento ed è guidato da Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente Alberto e condannata per il suo coinvolgimento nell’imponente scandalo edilizio Odebrecht. Fuerza popular, insieme ad APRA, ha votato quindi un provvedimento altrettanto eclatante, ovvero la sospensione di Vizcarra per ‘incapacità morale’, sostenendo che aveva infranto la Costituzione ed era quindi delegittimato, e ha nominato capo dello Stato la sua vice Mercedes Aráoz Fernández, che però ha poi rassegnato le dimissioni poche ore dopo aver assunto la carica. Aráoz Fernández si è dimessa, anche da vicepresidente, dopo che l’OAS ha dichiarato che dovrebbe essere la Corte costituzionale peruviana a decidere sulla legittimità dello scioglimento del Parlamento, e si è augurata che si ricorra al più presto alle elezioni. Vizcarra, che aveva comunque ricevuto da subito il sostegno dei capi delle forze armate e della polizia, mantiene dunque il suo ruolo, anche se il grave scontro istituzionale, che vede fronteggiarsi duramente da molti mesi ormai il presidente e il Parlamento, continuerà probabilmente anche nei prossimi giorni.

Immagine: Al centro, Martín Vizcarra (2 aprile 2018). Crediti: Galería del Ministerio de Relaciones Exteriores [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], attraverso Wikimedia Commons