Venticinque anni fa si chiamava ancora Celinograd, “città delle terre vergini”: palazzoni razionalisti e prospettive chilometriche, il grande agglomerato urbano di un centro agricolo tanto freddo quanto fertile, che aveva preso quel nome al tempo della campagna di Chruščëv per l'estensione della superficie coltivabile. Ci viene in aiuto il web, immagini e cartoline d'epoca: era il Kazakistan certo – capitale Almaty, per chiunque abbia frequentato le scuole dell'obbligo in quel periodo – ma poteva essere tanto Georgia quanto Ucraina in quell'Unione Sovietica; intanto però il mondo stava cambiando e qualcuno intuì che la città poteva avere un futuro sino ad allora inimmaginabile, a patto di cambiare tutto.

Venticinque anni fa, del resto, la più importante competizione calcistica per club si chiamava ancora Coppa dei Campioni in quasi tutte le lingue continentali, ma nell'inglese che stava diventando la lingua-passaporto del continente la traduzione era un piatto European Cup: aveva storia, gloria, ma le logiche dello sport si stavano modificando e qualcuno intuì che poteva avere anche potenzialità economiche inesplorate sino ad allora, a patto di cambiare tutto.

Pochi anni più tardi, quel dormitorio di braccianti dal nome romantico prese il nomen omen di Astana, che significa “capitale”, gru e archistar rivoluzionarono rapidamente lo skyline di quella che stava diventando il centro politico e finanziario di uno Stato indipendente, in posizione strategica tra l'Europa e l'Estremo Oriente, e con ricchezze naturali che andavano ben oltre l'agricoltura: petrolio e gas. Allo stesso modo, pochi anni più tardi, la Coppa dei Campioni si reinventò torneo a gironi, si ribattezzò universalmente Champions League (senza traduzioni di sorta), si aprì anche agli squadroni secondi, terzi e quarti nei campionati più importanti e si scoprì miniera d'oro grazie ai diritti televisivi.

Inevitabile che i destini si incrociassero, piazzando così il Kazakistan nelle carte geografiche della più importante competizione calcistica per club del mondo. Basterebbero però le premesse per capire che l'ingresso dell'Astana Fwtbol Klwbi nel giro del grande calcio europeo e il suo primo punto ottenuto in Champions (il 30 settembre contro il Galatasaray) sono tutto fuorché una favola sportiva. Non era una questione di “se”, ma di “quando” sarebbe accaduto perché, se è vero che la squadra non ha storia – è stata creata artificialmente nel 2009 dalla fusione di due club di Almaty – è vero che ha qualcosa di più: denaro e ambizione.

Quelli del fondo statale Samruk-Kazyna, creato dal presidente kazako Nursultan Nazarbayev, classe 1940, che da oltre trent'anni è l'uomo più potente del Kazakistan e ne è presidente sin dalla sua indipendenza dall'Urss, attraverso quattro elezioni pressoché plebiscitarie sul cui tasso di democraticità non sono mancate discussioni. Holding padrona (gas e petrolio, estrazione di uranio, la proprietà della compagnia aerea di bandiera, della rete ferroviaria e di quella postale del Paese), Samruk-Kazyna è un colosso da 78 miliardi di dollari di patrimonio nel 2011 con un profitto di 3,5 miliardi di dollari nel 2013, secondo i dati forniti dalla stessa holding, ed è il motore della “Strategia 2050” che, nella visione di Nazarbayev, mira a portare entro quella data l'economia kazaka fra le prime 30 del mondo. È in questo contesto che si inserisce la nascita nel 2012 del Professional Presidential Sports Club Astana, foraggiato appunto da Samruk-Kazyna, nato per veicolare l'immagine di Astana e del Kazakistan a livello internazionale come solo lo sport può fare: all'interno del club – il cui presidente è un'icona dello sport kazako, Bakhtiyar Artayev, oro olimpico dei welter ad Atene 2004 – si trovano infatti l'Astana Pro Team, che ormai da alcuni anni detta legge nel ciclismo (e attira i migliori italiani in ammiraglia, da Martinelli a Zanini, e in sella da Nibali ad Aru, e prim'ancora lo spagnolo Contador), e club di basket, pallavolo, hockey su ghiaccio, boxe, pallanuoto; tutti con lo stesso nome e gli stessi colori, il celeste e il giallo della bandiera. Perché Astana è anche un brand e lo sport è l'immagine vincente di un Paese che ora come tappa ha il 2017, quando Astana ospiterà l'Expo. E chi, all'Expo milanese, ha visitato l'ipertecnologico padiglione kazako, ha già potuto intuire l'obiettivo.

In tutta questa opulenza, viene da sorridere a pensare che, solo due anni fa, nei gironi di Champions ha rischiato di entrarci, senza riuscirci, lo Šachtër Karagandy (Il minatore di Karaganda), altra compagine kazaka ma, in questo caso, senza le spalle coperte da oligarchi con potenzialità pressoché infinite. Viene da sorridere perché davvero lo Šachtër Karagandy è espressione originariamente più sportiva che politica, mentre in quell'area del mondo ex sovietico il calcio è oggi il giocattolo propagandistico preferito dal potere. Potere, immagine, lobby e pallone: basti pensare al club azero del Gabala, finanziato dalla Gilan Holding del potentissimo ministro delle emergenze Kamaladdin Heydarov, o al Qarabag (che la scorsa stagione affrontò l'Inter in Europa League), espressione degli interessi petroliferi nell'area del Mar Caspio. O alla parabola dell'Anzhi, oscuro club del Daghestan portato agli onori della cronaca sportiva da Sulejman Kerimov, magnate dell'energia con quote significative all'interno di Gazprom – peraltro sponsor della Champions e munifico finanziatore di Zenit e Schalke 04 – che portò a Machačkala con contratti da sultani Eto'o, Roberto Carlos e Lassana Diarra, o ai tentativi del leader ceceno Ramzan Kadyrov di lanciare nell'orbita calcistica il Terek Groznyj, ingaggiando come allenatore Gullit, con cui litigò dopo poche settimane.

O ancora, non troppo distante, in Uzbekistan, alla storia del Bunyodkor di Taškent, per tanti versi molto simile a quella dell'Astana: nato nel 2005 come Kuruvchi e ribattezzato nel 2008 (Bunyodkor significa “creatore”), è controllato dalla Zeromax, opulenta holding di diritto svizzero che fa capo di fatto a Gulnara Karimova, figlia del presidente padre-padrone uzbeko Islom Karimov. Fu ad un passo, Gulnara (le cui ricchezze personali vennero stimate nel 2010 da Der Spiegel in 570 milioni di dollari), dal portare a Taškent lo stesso Eto'o, ci riuscì con Rivaldo, Denilson e Felipe Scolari. Dal nulla, ha vinto cinque degli ultimi sette campionati uzbeki. Ma nelle coppe europee non lo vedremo mai: essendo l'Uzbekistan iscritto alla confederazione calcistica asiatica, la Afc, il Bunyodkor ha nel mirino la Asian Champions League. Che non è la stessa cosa, ma si può raggiungere così, a tutto gas. E non è un modo di dire.