Cosa ci dicono oggi i balconi d’Italia? Fanno solo rumore fastidioso? Sono solo oggetto di retoriche nazional-popolari? Vanno interrogati con maggiore attenzione? Sì, io credo che vadano esplorati meglio, magari alla luce della seguente domanda: sarà il Coronavirus in grado di imporre un nuovo corredo genetico alla nostra specie? La quarantena cambierà il nostro modo di cantare e ballare?

In questo periodo di tournée e uscite discografiche rimandate a DDD (Data Da Destinarsi) sono questi gli interrogativi che mi frullano nel cervello. Il panico e le incertezze alimentano pensieri inquietanti che mi tolgono il sonno, inibiscono gli effetti delle overdosi di melatonina, ma nel contempo si trasformano in un diversivo necessario per distogliere l’attenzione dalla paura di morire e immaginare possibili exit strategies.

In questi giorni di ozio coatto ho studiato la mia: ho ripercorso il mio cammino musicale dalla sua nascita (da metà degli anni Ottanta del secolo scorso) ad oggi, riscontrando delle analogie antropologiche tra reggae-hiphop e musica salentina che in passato non avevo mai considerato in modo così definitivo. Ma mi fermo qui. Certo mi sono accorto che la mia esperienza musicale prende spunto dalle dance hall giamaicane e dai ghetto blaster americani, ma essa è nata nelle campagne, così come nacque la musica salentina quando Greci e Messapi si incontrarono tra gli uliveti della Collina delle Ninfe e dei Fanciulli.

Eppure, nella clausura forzata, vedo che la musica si sta spostando: la musica è sui balconi. Noi siamo tristi, frastornati per ciò che sta accadendo, ma andiamo sui balconi per fare musica, per condividerla con gli altri. E se il balcone fosse la nostra nuova exit strategy?

Anche la rete sta facendo la sua parte, ma non può fare altro che collaborare con i balconi: infatti i flash mob che invitano a ritrovarsi alle 18 su di essi, sono diffusi sui social o sui gruppi WhatsApp. La rete ancora una volta si sostituisce ai media tradizionali, controllati, moderati e sterilizzati dalle industrie dell’intrattenimento.

Noi preferiamo boicottare i media tradizionali e inventare l’intrattenimento. Perché?
Semplice: le arti sono innanzitutto catarsi ed è evidente che alcuni programmi televisivi ne sono l’antitesi. Illustri sedatrici e sedatori dell’etere non possono assurgere a nuovi sciamani, proprio perché non sanno produrre alcun beneficio per il disagio di queste ore.

Le arti invece sanno crearla la catarsi, perché nascono dal disagio dalle moltitudini, sanno attenuare i conflitti generati dal sovraffollamento e diventare talora rituale collettivo, per esorcizzare le folle, restituirle all’unanimità da cui provengono e a cui aspirano.

Forse un tempo gli studi televisivi potevano “fingere” di fare musica, proprio quando tutto sembrava andasse bene, prima della pandemia intendo. Questo potevano farlo perché la catarsi non era loro richiesta e i protagonisti non avevano bisogno di musica-medicina. Ma ora è diverso. E dovrà esserlo anche dopo.

Sì, certo la gente ha bisogno di musica-medicina in un momento della storia in cui gli spazi pubblici non sono più fruibili. Eppure, a confronto del paradiso terrestre di un tempo originario, quello dei “cacciatori-raccoglitori-nomadi” (ma è mai esistito?), noi oggi sembriamo i nuovi sedentari. Coatti in quarantena. I nostri spazi diventano limitatissimi, eppure l’agorà c’è: è il balcone. Gli strumenti che abbiamo ereditato sono il logos, la musica e la danza, ma ad essi vanno aggiunte le nuove tecnologie: software necessari a implementare la nuova catarsi.

Forse il balcone non offre molto spazio per ballare in modo tale da raggiungere la catarsi ed estroiettare il panico attraverso il sudore. Ma non importa. Ciò che serve, in questo momento, è palesarsi, manifestarsi vivi ai propri simili in modo da rinnovare l’idea di società. E tutto ciò sembra funzionare, in quest’Italia dove spesso i balconi sono stati usati e abusati dai padroni, dai baroni, dai papa re, dai duci.

Ma stavolta no: il balcone è proletario, il balcone è nostro! Balconi di tutto il mondo… unitevi! Voi appartenete alle moltitudini, siete alambicchi organizzati dalle stesse masse, da cui scaturirà nuova linfa collettiva per le masse, certo ora attonite e impaurite, ma non più dai padroni, rei di aver distrutto il mondo, rendendolo invivibile, conflittuale, inquinato, caotico, ora virulento. Sì, i padroni hanno cancellato ogni certezza, depauperando quella sanità pubblica che non solo doveva garantire al singolo cittadino di curarsi, ma doveva difendere la società, assicurare che non venisse contagiata.

Allora cantiamo insieme il nuovo inno: entriamo, andiamo, usciamo, sui balconi, con i balconi, dai balconi. Per fabbricare il nostro domani, per costruire il nostro dopo.

Avanti! Insieme, uniti, vivi!

Nandu Popu - Restu a casa mia remake Casa mia vs Coronavirus
Nando Popu è autore e interprete del brano Restu a casa mia, scritto per sostenere la campagna di confinamento e isolamento necessari a combattere l’attuale pandemia di Coronavirus
Crediti immagine: Poigina Elena / Shutterstock.com [Illustrazione con ID royalty free: 1674125221]

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

Argomenti

#coronavirus#anni Ottanta#danza#musica