Sette metri quadri al secondo: questa è la velocità alla quale oggi si consuma il suolo nel nostro Paese. Nonostante gli allarmi dei geologi sempre più pressanti e una proposta di legge per lo stop al consumo di suolo da due anni ormai in attesa di approvazione definitiva, nel 2017 il cemento è aumentato di altri 52 chilometri quadrati, anche in zone a rischio idrogeologico. Il 7% dell’intero territorio nazionale è, infatti, cementificato, con picchi del 20% sulle coste e di oltre il 50% in alcune città: di fronte a questa situazione, la legge, la cui idea di fondo si basa sul rinnovo del già esistente tramite interventi di restauro invece di costruire nuove strutture, contenendo così il consumo di suolo e riutilizzando quello già impermeabilizzato, aveva come obiettivo il consumo zero, vale a dire neanche un metro quadro in più, entro il 2050, ma non ha completato il suo iter.

La situazione nel frattempo però peggiora: l’ultimo allarme in ordine di tempo sul consumo di suolo in Italia arriva dal rapporto annuale dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) che, analizzando l’evoluzione del fenomeno all’interno del più ampio quadro delle trasformazioni territoriali su diversi livelli, racconta di una situazione da ogni punto di vista emergenziale: negli ultimi dodici mesi, infatti, nonostante la crisi economica, il consumo di suolo è proceduto ‘ad oltranza’: prolificano ovunque nuovi cantieri e infrastrutture anche in zone a rischio idrogeologico e soggette a vincoli di tutela paesaggistica.

Si cementifica dappertutto, anche vicinissimo al mare, ai fiumi e ai laghi così come ai vulcani e alle montagne, soprattutto lungo la fragile fascia costiera e i corpi idrici, dove il cemento raggiunge picchi di oltre 350.000 ettari, ricoprendo circa l’8% della loro estensione totale. La copertura artificiale è stabile lungo tutta la Penisola, ma in ulteriore crescita, per ovvie ragioni, nel più ricco Nord-Est.

I nuovi edifici, sottolinea ancora il rapporto Ispra, rappresentano il 13,2% di territorio vincolato perso solo nell’ultimo anno; il 6% si trova poi in aree a rischio frana e oltre il 15% in quelle a pericolosità idraulica media.

Il cemento continua a divorare il suolo, causando anche ingenti danni economici: 1 miliardo di euro per la perdita della capacità di stoccaggio del carbonio e di produzione agricola e legnosa negli ultimi cinque anni; a ciò sono da aggiungere altri 2 miliardi all’anno a causa della diminuzione dei flussi annuali dei servizi svolti dagli ecosistemi, non più garantiti, per il futuro, dal suolo naturale, per esempio la regolazione del ciclo idrogeologico, del microclima, il miglioramento della qualità dell’aria, il controllo dell’erosione ecc.

In questo panorama decisamente sconfortante, la zona soggetta alle maggiori trasformazioni del suolo per il 2017 è il Parco nazionale dei Monti Sibillini (con oltre 24 ettari di territorio consumato), seguono quello del Gran Sasso e i Monti della Laga. Per quanto riguarda, infine, le aree tutelate, sono i parchi nazionali del Vesuvio, della a Maddalena e del Circeo ad aver subito le maggiori devastazioni.

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