A quarant’anni dall’approvazione in Italia della legge sulla interruzione volontaria della gravidanza (22 maggio 1978, legge 194), un’analisi superficiale dei dati statistici potrebbe indurre all’ottimismo: grazie all’uscita delle donne dal circuito dell’illegalità, e al conseguente accesso a strutture pubbliche in grado di informare sulle tecniche di pianificazione familiare, gli interventi sulle cittadine italiane si sono numericamente ridotti ogni anno, e sono oramai un quarto di quelli che venivano richiesti nel 1982.

Il dato non si deve tuttavia sopravvalutare: concorre significativamente a determinarlo, infatti, la più generale diminuzione delle gravidanze, ascrivibile all’invecchiamento della popolazione e alla riduzione della fertilità. Se si tiene conto di questi fattori, e si considera quindi il rapporto di abortività (ossia il rapporto fra interruzioni volontarie e nascite), la riduzione dal 1982 è soltanto della metà, e in alcuni anni vi è persino stato un peggioramento rispetto all’anno precedente.

Risulta quindi inevitabile riflettere sulla efficacia delle politiche di prevenzione: le ricerche internazionali – come Intended and Unintended Pregnancies Worldwide in 2012 and Recent Trends (2014) – osservano da tempo come in molte parti del mondo si riscontrino ancora percentuali straordinariamente elevate di gravidanze indesiderate, senza visibile correlazione con concorrenti fattori di benessere economico.

Benché i picchi si riscontrino in America Latina e nell’Africa meridionale, anche nell’Europa il 45% delle gravidanze si qualifica come indesiderato pur in base ai criteri più restrittivi (ossia in base alle risposte sul punto delle madri a tre anni dalla nascita: si ritiene che tale torno di tempo aiuti l’accettazione del fatto compiuto, dato che le risposte date nell’immediatezza forniscono risultati ancora più negativi). In particolare, indesiderate sono il 52% delle gravidanze nell’Europa dell’Est e il 44% delle gravidanze nell’Europa meridionale.

Una risposta importante per affrontare tale problema, in linea con l’inclusione delle donne fra i destinatari della dichiarazione dei diritti dell’uomo, e in generale con la cultura occidentale democratica moderna, può consistere nel finanziamento pubblico dell’accesso alla contraccezione: è, per esempio, il modo in cui l’Irlanda controbilancia la sua legislazione estremamente restrittiva dell’interruzione della gravidanza (peraltro agevolmente eludibile dalle donne irlandesi, e quindi essenzialmente fonte di considerevoli trasferimenti di ricchezza verso le cliniche inglesi). In un recente studio – European Contraception Atlas (2018) – si rimarca come tale accesso, in Italia, sia ancora sottofinanziato, anche in comparazione con Paesi assai meno ricchi.

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