Si parla molto della dispersione, è un fenomeno a tutti evidente che dovrebbe essere assunto, in modo deciso, come elemento di emergenza politica. Essa presenta livelli quantitativi preoccupanti che incidono sulla vita di centinaia di migliaia di persone.

In realtà si tratta di una materia di cui si parla spesso in modo retorico. Una trattazione approfondita, con i dati che sono disponibili, dovrebbe garantire in ambito istituzionale una riprogettualità corretta ed efficace della scuola.

Un sistema di istruzione che disperde un ragazzo su 5, e che non è in grado di portare che una percentuale molto bassa dei propri utenti a raggiungere le minime competenze alfabetiche e matematiche richieste per svolgere compiti essenziali della vita quotidiana, non può dirsi soddisfatto di sé stesso.

Vediamo, intanto, come può definirsi il concetto di dispersione scolastica. La dispersione fa riferimento ai tassi di abbandono e di ripetenza ovvero all’insuccesso scolastico.

Si verifica una dispersione del cumulo delle aspettative formative.

Si disperde l’attrezzatura culturale degli utenti e si rileva un’assenza di azioni per il massimo sviluppo del patrimonio culturale individuale.

I comportamenti di dispersione sono segnali di un fenomeno complesso in cui molti fattori si disperdono confluendo nel grande scenario di perdita di potenza e di continuità dell’impresa formativa.

Una voce risulta mancante nel profluvio di analisi e di statistiche, utilissime, che impieghiamo per comprendere la dispersione, ed è la voce dei protagonisti. I protagonisti non ritengono la propria esperienza scolastica, in percentuali preoccupanti, significativa. Riescono a leggere la difficoltà della scuola a tenere il passo dei cambiamenti del mondo esterno e vedono la distanza con il modo in cui essi stessi lo abitano.

Le conseguenze non possono che essere la perdita di soggetti (abbandono) e di potenzialità ed energie cognitivo-emotive (dispersione), il basso livello di efficacia ed efficienza in termini di risultati di apprendimento (learning output, skills output) in relazione alla difficoltà ad adeguarsi alle nuove didattiche e alla lentezza con la quale le nuove tecnologie penetrano all’interno delle aule, la totale inadeguatezza degli ambienti dedicati all’istruzione/formazione e l’impermeabilità degli stessi ai contesti nei quali insistono; tali fattori hanno ormai segnato, irrevocabilmente, la necessità di riprogettare ruolo, modalità e funzioni del sistema di istruzione medesimo.

Proviamo a proporre alcuni macro-dati:

- l’Italia possiede il minor numero di laureati d’Europa;
- l’Italia possiede il minor numero di diplomati d’Europa;
- l’Italia consegue, nello Skills Outlook 2013, la peggiore performance in tema di abilità linguistiche e la penultima (“battuta” solo dalla Spagna) nelle competenze matematiche;
- l’Italia registra inoltre, nello stesso rapporto (ottobre 2013), un livello alto di influenza delle condizioni socio-economiche di partenza sui risultati in termini di istruzione;
- l’Italia ha il tasso più alto di abbandono e dispersione (superiore al 18,5%);
- l’Italia ha oltre due milioni di NEET (e continuiamo a preoccuparci della “fuga dei cervelli”: che riguarda soltanto il 6,4% dei dottori di ricerca che vanno all’estero; il 4% dei laureati, quindi meno dello 0,4% della popolazione attiva).

Se le risorse e le iniziative che in questi anni sono state prese per cercare di portare i livelli di dispersione sotto il 10% (come richiesto dagli obiettivi di Europa 2020) hanno prodotto un incremento anziché un decremento della dispersione è forse giunto il momento di ridare spazio, protagonismo e voce a coloro per i quali il sistema di istruzione viene costruito: gli allievi.