Mentre tanti sono i movimenti politici nati dal basso che coinvolgono le donne e che da esse direttamente originano, mentre sembra esistere una sorta di rete femminile che attraversa trasversalmente l’arco politico per sostenere iniziative a favore delle donne o per difendere i loro diritti, ancora troppo limitata è, in Italia, la loro rappresentanza istituzionale, sia per quantità, sia per qualità di incarichi. Nonostante infatti gli importanti passi avanti compiuti negli ultimi anni, anche grazie a leggi volte a stabilire una maggiore parità, le donne non solo si candidano in minor numero, ma soprattutto hanno meno possibilità di essere elette, segno che tra la cittadinanza permangano diffusi pregiudizi. Inoltre la loro presenza varia ancora troppo considerevolmente da legislatura e legislatura, come se non fosse un dato radicato, o almeno una tendenza lineare verso la parità, bensì possedesse un carattere per certi versi di contingenza. È ciò che emerge dal report Trova l’intrusa (2018) curato da Openpolis.

Nella legislatura attuale, la percentuale di donne in Parlamento è particolarmente alta: alla Camera è del 35,71% e al Senato del 34,48%. Tuttavia, vi è stata una retrocessione per quanto riguarda gli incarichi di governo: le donne ministro sono il 27% (mentre erano in parità nel governo Renzi), e le sottosegretarie e viceministre sono solo il 17,19% (con Letta erano il 29,03%, con Renzi il 27,87% e con Gentiloni il 28,33%). Rispetto al resto dell’Europa, siamo oggi così in una posizione molto arretrata, al 13° posto, mentre la Spagna è nella posizione più avanzata, con il 60% dei ministri donna.

Per quanto riguarda le amministrazioni comunali, vi è stato un avanzamento per effetto di due provvedimenti legislativi, la legge 205 del 2012 e la cosiddetta legge Delrio (n. 57/2014), che rispettivamente indicano quote minime per i comuni superiori ai 5.000 (33%) e ai 3.000 abitanti (40%). Tra il 2009 e il 2016 la percentuale di donne tra i candidati alle elezioni comunali è infatti aumentata del 26,84%, assestandosi intorno al 34%, mentre le candidate elette sono state il 30,40%, con un balzo in avanti del 40% rispetto al 2009. In media il 14% dei comuni italiani sono attualmente guidati da donne, in linea con il resto dell’Europa. Per quanto concerne le Regioni, invece, solo due su 20 sono a guida femminile, mentre le assessore sono 55, il 32,54% del totale.

Ma il dato forse più significativo è quello dell’Indice di successo, ossia il rapporto tra percentuale di candidati/e e quota di eletti/e, ove emerge che gli uomini hanno molte più possibilità di essere eletti rispetto alle donne. Considerando il valore 1 come una perfetta corrispondenza tra la quota di eletti/e e quella di candidati/e emerge che il valore per gli uomini è 1,08 (cioè la quota degli eletti supera sempre la percentuale dei candidati), mentre per le donne è lo 0,88 (cioè la quota delle elette è sempre inferiore alla percentuale delle candidate). I valori minimi le donne li hanno nei consigli regionali (0,47) e comunali (0,88), mentre i valori massimi li raggiungono alla Camera (1,07) e al Parlamento europeo (1). Su tali valori hanno notevole peso le differenze d’area, sicché il dato è condizionato dai voti più “maschilisti” del Mezzogiorno. Ciò mostra che, se le normative correttive delle disparità sono importanti e producono buoni risultati, la società è ancora viziata da retaggi patriarcali, pregiudizi o sospetto nei confronti dell’impegno politico delle donne.

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