La tratta delle persone – che, per inciso, va distinta dal traffico dei migranti, poiché avviene senza il consenso degli interessati – è un reato che, secondo la definizione del “Protocollo delle Nazioni Unite sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in particolar modo donne e bambini”, consiste nel commercio di esseri umani a scopo di «sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, lavori o servizi forzati, schiavismo o prassi affini allo schiavismo, servitù o prelievo di organi». È un fenomeno esteso, complesso e difficilmente quantificabile poiché, ovviamente, sommerso. Se ne occupano diverse agenzie delle Nazioni Unite (ONU) e organizzazioni nazionali e internazionali governative e non governative, che collaborano assieme per lo scambio di dati e informazioni, anche su fenomeni “limitrofi”, come i matrimoni forzati. Tra di esse, vi sono l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM, International Organization for Migration), che ha sviluppato un enorme database, per motivi di riservatezza solo parzialmente consultabile, contenente dati sulle vittime (profilo, provenienza, contesto, età ecc.); Polaris, una organizzazione americana di raccolta dati su segnalazione che opera negli Stati Uniti; la Walk Free Foundation; l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO, International Labour Organization); l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC, United Nation Office on Drugs and Crime) e altre ancora. L’UNODC produce periodicamente il Global report on trafficking in persons, la cui ultima edizione risale al dicembre 2018, con dati comparativi sugli anni precedenti, in cui, raccogliendo informazioni provenienti da 142 Stati membri dell’ONU, si rileva, in sintesi, quanto segue.

A livello globale, il numero di vittime è cresciuto del 40% dal 2011 al 2016, anno in cui si è raggiunto il picco di tale fenomeno. Questo aumento può essere però letto in due diverse direzioni: in quella negativa di una crescita reale, o in quella positiva di una maggiore emersione del fenomeno e quindi di un’aumentata capacità da parte degli Stati di contrastarlo; quest’ultima ipotesi sembrerebbe confortata dalla crescita delle condanne.

Che esistano vaste aree di impunità sembrerebbe suggerirlo il fatto che i numeri più elevati di condanne siano registrati in Europa, mentre nell’Africa subsahariana e in Asia, da cui provengono la maggior parte delle vittime identificate nel nostro continente, sono molto più bassi.

Il fenomeno coinvolge nella stragrande maggioranza persone di sesso femminile: in Europa meridionale e occidentale nel 49% dei casi si tratta di donne adulte e nel 23% di bambine, sicché insieme donne e bambine costituiscono il 72% dei casi. Nell’Africa subsahariana e nell’Asia orientale e meridionale, invece, i numeri maggiori riguardano rispettivamente minori e uomini adulti, ma tali discrepanze potrebbero dipendere dalla carenza di dati a cui si è accennato.

Come si può facilmente intuire, la tratta delle donne è finalizzata soprattutto allo sfruttamento sessuale (83%), quella degli uomini al lavoro forzato (82%). Numeri rilevanti riguardano anche la tratta a fini di accattonaggio o di adozioni illegali, mentre percentuali minori concernono il traffico di organi.

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