di Stefano Di Polito e Paola Tournour Viron

I dati dell’estate 2017

È stata un’estate turistica in chiaroscuro quella che si è appena conclusa. Da un lato c’è l’inconfutabilità del roseo bilancio tracciato dal MiBACT: 34 milioni di italiani in movimento tra giugno e settembre (+3,2% rispetto al 2016), 48,3 milioni di arrivi nelle strutture ricettive (+2%), +12,5% i visitatori nei borghi e musei italiani, 90 milioni di presenze negli stabilimenti balneari (+16%) della Penisola, con una progressione del 5% degli stranieri e la spesa media dei turisti venuti dall’estero salita nel primo semestre del 4,6% e, addirittura, del 7,9% nelle città d’arte.

Un autentico tripudio, corroborato peraltro dai dati provenienti dalla rete, con Google a confermare il numero altissimo delle ricerche da parte dei viaggiatori residenti in Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Francia. A questi mercati, che sono i più attivi, si aggiungono poi quelli, non meno rilevanti, che rispetto al passato hanno utilizzato il web molto di più per informarsi su una possibile vacanza nella Penisola. In testa a tutti c’è l’Argentina (+24%), seguita dalla Russia (+20%), dall’Australia (+11%) e quindi dalla Spagna (+10%).

In ambito urbano le ricerche hanno incoronato regina dell’estate Napoli (+25%), con Firenze (+10%) e Milano (+8%) rispettivamente in seconda e terza posizione, mentre a livello di aree, il primato è andato alle Dolomiti (+20%), con le Cinque Terre (+17%) e il Lago di Garda (+12%) a seguire.

La minaccia dell’overtourism

Allora tutto bene? Se ci si dovesse attenere alle sole statistiche, la risposta non potrebbe che essere affermativa; ma sarebbe un errore macroscopico limitarsi all’esito puramente numerico della performance turistica italiana.

Vi è infatti anche un altro lato della medaglia. Come alcuni sociologi saggiamente suggeriscono, infatti, anche il FIL – cioè il tasso di Felicità interna lorda – ha una sua importanza, e probabilmente ha un peso ancora più forte quando in gioco c’è il turismo, inteso non soltanto quale forma di valorizzazione del tempo libero, ma soprattutto – come in effetti dovrebbe essere – quale strumento di costruttiva interazione fra popoli e culture. Se venisse preso in considerazione anche questo parametro si scoprirebbe allora che l’estate italiana (e non solo italiana) ha prodotto un risultato contraddittorio.

Mai come negli scorsi mesi si è infatti parlato di overtourism. Se ne è dibattuto alle latitudini più diverse, da Amsterdam a Koh Khai, dal Bhutan a Santorini e dal Giappone a New York. Passando per

dove, come molti avranno letto, la sindaca Ada Colau ha messo in atto varie misure per limitare il numero dei visitatori. E approdando anche nel Bel Paese, come ha segnalato il Wall Street Journal, che ha sottolineato quanto l’eccesso di affollamento turistico abbia ormai stremato gli abitanti. «Some italians cry: Basta!» riportava la testata, mettendo il bollino rosso in particolare su Capri, Venezia, Firenze e le Cinque Terre.
Tutto questo mentre in un suo intervento al Memoria Festival di Mirandola, il celebre storico dell’architettura Joseph Rykwert sollevava la questione parlando di «flussi che non hanno precedenti» e di un turismo diventato un’«assurdità molto pericolosa» paragonabile a «uno tsunami distruttivo».

La bellezza italiana

Il giro d’affari generato dalla bellezza italiana, il cui valore ammonterebbe a 240 miliardi, 39 dei quali prodotti dal turismo, sarebbe infatti in pericolo. E con esso la bellezza del nostro Paese che, al di là di ogni considerazione ragionieristica, dovremmo puntare a preservare.

Durante l’estate la presidenza di Federalberghi Liguria ha ricordato che se da un lato l’afflusso di turisti ha reso l’intera regione «un vaso di cristallo, le Cinque Terre sono ormai un fragilissimo vaso di Murano». Il rimando alla località lagunare non ha fatto che affondare il dito in una piaga annosa, quella di Venezia, il cui disperato grido d’allarme si unisce a quello di Firenze, Roma e di altre località costantemente prese d’assalto dai turisti.

In un articolo riportato sul suo blog ufficiale, il sottosegretario ai Beni e alle attività culturali e al turismo Dorina Bianchi suggeriva alcuni possibili rimedi: dalle app che indicano percorsi alternativi, dirottando i visitatori su località meno note ma altrettanto degne di attenzione, fino ai dispositivi conta-persone per regolare i flussi nelle aree più critiche. Ipotesi che potrebbero trasformarsi in realtà se non si trovano strategie orientate alla valorizzazione di nuovi spicchi d’Italia.

Certo, trovare soluzioni unanimemente condivise non è semplice, combattuti tra quanto detterebbe il comune buonsenso e le bacchettate degli economisti che impietosamente ricordano come gli Stati Uniti, con la metà dei siti UNESCO, abbiano un ritorno commerciale pari a 16 volte il nostro, o come in Francia e nel Regno Unito lo sfruttamento economico della bellezza del Paese frutti da 4 a 7 volte di più.

Probabilmente il punto sta proprio qui: scegliere una volta per tutte con chi schierarsi. Se con chi pensa che dare valore alla bellezza significhi spremerla fino all’esaurimento, come una delle tante fonti non rinnovabili del pianeta e con tutte le tragiche conseguenze già riscontrabili in altri ambiti, oppure con chi chiede di difenderla a spada tratta.

Michele Ainis (autore con Vittorio Sgarbi di La Costituzione e la Bellezza, La Nave di Teseo, 2016) ci rammenta infatti che «c’è un elemento che distingue la cultura italiana dalle altre culture nazionali (…). Ed è l’educazione al bello, la capacità di plasmarlo e ricrearlo in nuove fogge, nel passaggio delle generazioni». Secondo il costituzionalista e saggista sarebbe infatti «questo il genio degli italiani».

Il turismo del futuro

Ed è forse questo patrimonio genetico che ha favorito la nascita di alcuni progetti di valorizzazione come Italia da Raccontare, il censimento delle buone pratiche di turismo e storytelling da prendere come modello per diffondere e preservare la bellezza e ampliare l’offerta turistica in Italia.

Se da una parte, dunque, ci aspettiamo di valorizzare i territori meno noti del Paese, creando un turismo di nicchia, in grado di riscoprire il fascino nascosto delle località minori, dall’altra occorre tutelare le destinazioni più gettonate proteggendo l’autenticità dei luoghi più visitati.

Ciò che spaventa di più di quest’estate è stata per l’appunto la perdita d’identità di alcuni luoghi invasi dal turismo e, soprattutto, da operatori turistici improvvisati o per nulla legati al territorio. Il rischio è di consumare la nostra bellezza fino a esaurirla senza poterla poi ricreare.

Sono gli operatori turistici, dunque, a dover fare nei prossimi mesi una profonda riflessione per escogitare in tempo le misure che ci permettono di tutelare i nostri “giacimenti di bellezza” già a partire dalla prossima stagione.

Su Facebook è attivo un gruppo di operatori turistici (Tourist-telling) accomunati dall’uso dello storytelling, che si scambiano buone pratiche per diffondere il turismo culturale e per formalizzare un metodo in grado di replicare risultati sostenibili in contesti diversi. Seppure i luoghi attrattivi non manchino, occorre intervenire con rapidità per creare una forma di economia circolare anche nel settore turistico, in modo da generare e moltiplicare la bellezza, lo sviluppo e il benessere proprio attraverso la crescita del turismo di qualità.

Per godere a lungo del fascino internazionale del nostro Paese la sfida immediata è saper governare i processi legati al turismo e diffondere nuove modalità tra gli operatori del settore per prediligere il recupero, la salvaguardia e la cura del territorio, a discapito del profitto immediato e del consumo scriteriato dei numerosi “giacimenti di bellezza” presenti in Italia.

Crediti immagine: Bumble Dee / Shutterstock.com

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