Non sarà un’estate come tutte le altre: questa pare l’unica cosa certa in un momento in cui società, economia, vite personali e abitudini sono state ribaltate e messe in discussione dall’emergenza dell’ormai arcinoto Coronavirus. Nulla è più come prima: noi Italiani, come molti cittadini di altre nazioni, siamo chiusi in casa da mesi. Vietate le libere uscite, gli assembramenti, gli aperitivi, le cene al ristorante. Un lontano ricordo le riunioni in ufficio, le lezioni di danza e ‒ last but not least ‒ anche le vacanze e le gite fuori porta, in attesa delle prime timide aperture previste dalla cosiddetta “fase 2”. Quella che un tempo chiamavamo normalità è comunque lontana: per i viaggiatori ‒ e soprattutto per le istituzioni, gli enti locali e gli operatori ‒ è tempo di riflessioni sul futuro del turismo italiano e sui modelli che lo riguardano.

I dati di Confcommercio prevedono perdite prossime al 60% rispetto al 2019: un crollo verticale di presenze, tasse di soggiorno, pernottamenti, visite guidate, pranzi e cene nelle baite di montagna e nelle trattorie sui lungomare. Il governo sta ipotizzando bonus vacanze e incentivi per chi sceglierà un soggiorno italiano; si cerca di correre ai ripari per evitare la débâcle di un settore che fino all’anno scorso assicurava circa il 13% del PIL nazionale. Se il momento è difficile, e purtroppo drammatico per l’economia, si presenta però anche un’occasione straordinaria: quella di ripensare il nostro sistema di viaggiare e con esso la fruizione del patrimonio culturale e paesaggistico del Bel Paese. Forse è giunto il tempo di un nuovo approccio che, considerato l’obbligo del distanziamento sociale, metta fine all’aberrante fenomeno dell’overtourism e valorizzi finalmente l’identità autentica di luoghi, paesaggi e destinazioni d’Italia.

Da rifondare e riorganizzare sarà in primis l’intero sistema dei trasporti. Per treni, traghetti e aerei si discute di sedili isolati da plexiglass, dimezzamento dei posti per vagoni e cabine, scomparsa definitiva dei biglietti cartacei. Sulle navi da crociera, condomini-alveare itineranti tra gli oceani e il Canal Grande, il destino si fa ancora più incerto: impossibile per chiunque valutare una vacanza a bordo di queste ex “regine” dei mari senza ripensare ai rischi e alle cupe vicende della Costa Atlantica e della Diamond Princess. Allo studio di esperti, sindaci e urbanisti nuove soluzioni anche per il trasporto cittadino e regionale: più controlli agli accessi di bus e metropolitane, più piste ciclabili, meno posti disponibili e rigorosamente a distanza. Nel timore che tutti scelgano l’isolamento al sicuro della propria automobile (facendo schizzare di nuovo alle stelle i livelli di CO2 e polveri sottili) ci si interroga su un’insperata rivincita di camper e tiny houses, monopattini e biciclette. Chissà: questi mezzi dal passo più lento potrebbero forse rappresentare un’alternativa alla mobilità di sempre, con grande vantaggio per il territorio e la salute di tutti.

Altri fronti aperti sono senz’altro le spiagge libere, gli stabilimenti balneari e i lidi sui litorali italiani: come gestire gli afflussi e la permanenza dei bagnanti nel rispetto dei nuovi standard di sicurezza? Si tratta di un problema ancora irrisolto; il dibattito oscilla tra numeri chiusi e lettini distanziati, cupole di bambù e bagnini-vigilantes a guardia delle distanze di sicurezza tra tintarelle e bracciate nell’acqua. Tutte soluzioni parziali, per lo più praticabili sulle vaste spiagge della Romagna, della Laguna veneta e della maggior parte delle coste sarde, toscane e salentine; impensabili però per le discese a lago lariane, le cale liguri, i lungomare di Trieste, le insenature e le lingue di sabbia isolane da Procida alle Tremiti, dalle Eolie all’Elba. Il dilemma si pone anche in montagna, nei borghi medievali, nei siti storicoartistici: come contingentare gli accessi ai rifugi alpini, i pienoni nei centri storici, gli ingressi ai musei e ai parchi archeologici? Si presenta inderogabile la necessità di reinventare un intero sistema: un grosso rischio e d’altra parte una clamorosa opportunità per ripensare alla fruizione turistica del nostro territorio, costituito in larga misura da destinazioni dalle dimensioni limitate e con una capacità ricettiva teoricamente piuttosto contenuta. Fino a ieri spadroneggiavano politiche improntate alla quantità più che alla qualità, al guadagno più che alla tutela, allo sfruttamento massivo più che a un’oculata educazione ai luoghi e alla loro natura. Era tutto un pullulare di sagre della salsiccia e del fritto misto, mercatini di Natale, attrazioni-cartolina, pseudo-informazioni copia/incolla su siti e dépliant turistici. Obiettivo dichiarato: più gente c’è e meglio è, poco importa se totalmente incurante della storia locale, della fauna e della flora, dell’habitat circostante.

La ripartenza ci sarà, è solo questione di tempo: a chi scrive piace immaginare che al numero limitato di accessi si accompagni finalmente un nuovo passo, un nuovo sentire, un nuovo modo di viaggiare. Verrà, speriamo, il tempo di conoscere e apprezzare davvero la bellezza che ci circonda, consapevoli di quanto rispetto, cura e tutela essa richieda. Anche quando l’emergenza Covid-19 sarà finita.

Immagine: La costa sarda a Porto Pino, Cagliari. Crediti: Foto di V. Canavesi

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