L’Italia è stato uno dei più grandi Paesi di emigrazione; tanto che si calcola che in un secolo, tra il 1876 e il 1976, 26 milioni di persone abbiano lasciato il Paese: un fenomeno di proporzioni tali da essere definito «the largest exodus of people ever recorded from a single nation».

I numeri in effetti sono impressionanti, soprattutto se si considera che al momento dell’Unità vivevano in Italia meno di 30 milioni di persone. Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento le regioni da cui provenivano gli emigranti erano soprattutto Veneto, Friuli e Piemonte; successivamente fu il Meridione a detenere il primato delle partenze: grosse comunità di espatriati si formarono oltreoceano, soprattutto negli Stati Uniti, in Argentina, in Brasile; negli anni Quaranta nuove mete furono i Paesi del Nord Europa, il Belgio, la Francia, la Germania, la Svizzera.

Il Museo del mare di Genova o l’Immigration Museum di Ellis Island conservano memoria dei lunghi e faticosi viaggi nella famigerata ‘terza classe’ delle grosse navi che attraversavano l’oceano e dell’accoglienza non sempre ‘a braccia aperte’ che si riceveva.

Dagli anni Settanta del Novecento l’Italia ha cominciato a diventare luogo di immigrazione, poiché ha raggiunto un livello di benessere che l’ha resa meta attraente soprattutto per i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo.

Ma ancora oggi, e soprattutto dopo la crisi economica del 2008, gli italiani continuano a partire e anche se ora si preferisce l’espressione ‘cervelli in fuga’, a sottolineare le diverse caratteristiche dei ‘nuovi emigrati’, si tratta pur sempre di persone alla ricerca di condizioni migliori di vita, di opportunità che il nostro Paese non è in grado di offrire. E anche agli occhi degli stranieri l’Italia ha perso un po’ del suo appeal.

Secondo gli ultimi dati Istat nel 2016 si sono registrate quasi 160.000 cancellazioni anagrafiche per l’estero, 115.000 delle quali (il 73%) riguardano cittadini italiani. L’andamento del decennio segna una decisa crescita, ma le stime per il 2017 registrano un leggero calo (-2,6%). Le mete verso le quali si dirige chi lascia il Paese si trovano soprattutto nell’Europa occidentale: Regno Unito (22%), Germania (16,5%), Svizzera (10%) e Francia (9,5%) accolgono più della metà di chi parte. Le province italiane che registrano il più elevato numero di ‘abbandoni’ si trovano al Nord (Bolzano, Vicenza, Mantova, Imperia e Trieste) e in Sicilia (Agrigento, Catania, Caltanissetta ed Enna). L’espressione ‘cervelli in fuga’, per quanto pittoresca registra però effettivamente un dato evidente: molte delle persone che vanno via hanno un livello di istruzione elevato. La fascia d’età in cui ‘si parte di più’ è quella dei giovani dai 25 ai 39 anni (circa 38.000 unità in meno) e quasi il 30% di loro è in possesso di una laurea o di un titolo postuniversitario. Un dato che fotografa certamente la difficoltà del Paese nel trattenere e utilizzare in modo costruttivo competenze e professionalità.

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